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Chi potrà usare il Tfr per andare in pensione a 64 anni: le simulazioni per età e reddito


	Chi potrà andare in pensione a 64 anni
Chi potrà andare in pensione a 64 anni

Chi sceglierà questa strada dovrà però accettare un assegno calcolato integralmente con il sistema contributivo, che in molti casi si tradurrà in un importo più basso rispetto al retributivo

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Oggi l’uscita anticipata a 64 anni è possibile soltanto per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996. La regola prevede almeno 20 anni di contributi e un assegno pensionistico non inferiore a tre volte l’importo dell’assegno sociale, cioè circa 1.616 euro lordi. Il governo Meloni, con la prossima legge di bilancio, starebbe valutando di estendere questa possibilità anche a chi ha cominciato a lavorare prima del 1996, introducendo però requisiti più severi: almeno 25 anni di contributi e il ricalcolo della pensione interamente con il metodo contributivo. In questo scenario, per raggiungere la soglia minima richiesta potrebbe essere utilizzato anche il Tfr accumulato, trasformandolo in una rendita che integra l’assegno.

I possibili nuovi requisiti

Secondo le indiscrezioni circolate, le condizioni per accedere a questa formula sarebbero: 64 anni di età; almeno 25 anni di contributi; un importo mensile non inferiore a tre volte l’assegno sociale (soglia leggermente ridotta per le madri). Chi sceglierà questa strada dovrà però accettare un assegno calcolato integralmente con il sistema contributivo, che in molti casi si tradurrà in un importo più basso rispetto al retributivo. Il punto centrale della proposta riguarda il Tfr: anziché riceverlo in un’unica soluzione al termine del rapporto di lavoro, verrebbe “spalmato” per integrare la pensione, permettendo così di superare la soglia minima richiesta. Una soluzione che da un lato alleggerisce l’impegno immediato dell’Inps, dall’altro può consentire ad alcuni lavoratori di anticipare l’uscita dal lavoro.

Le criticità della misura

La soglia da raggiungere non è fissa: l’assegno sociale viene rivalutato ogni anno, rendendo più difficile rispettare i requisiti. Inoltre, dal 2030 la pensione minima per accedere a questa misura dovrebbe arrivare a 3,2 volte l’assegno sociale, pari oggi a circa 1.732 euro lordi. Per chi ha iniziato la propria carriera lavorativa prima del 1995, pensare di destinare il Tfr a questo scopo non è stato mai contemplato. In molti casi, infatti, il Tfr è servito come cuscinetto in momenti di necessità lavorativa o personale. Ciò rischia di escludere gran parte dei lavoratori con redditi medio-bassi.

Le simulazioni su età e reddito

Alcune analisi hanno già provato a stimare chi potrebbe beneficiare di questa nuova opzione.

  • Esempio 1: un lavoratore nato nel 1962, con carriera iniziata nel 1987 e stipendio medio di circa 1.650 euro netti, potrebbe avere accesso alla pensione anticipata. Se lo stipendio fosse leggermente più basso, sarebbe necessario integrare con il Tfr.
  • Esempio 2: un dipendente nato nello stesso anno, ma con contributi iniziati nel 1995 e circa 30 anni di anzianità, dovrebbe disporre di uno stipendio netto di almeno 1.900 euro, oltre a tutto il Tfr maturato.
  • Esempio 3: per le madri lavoratrici, la soglia resta comunque elevata: circa 1.700-1.800 euro netti di stipendio, a condizione di avere carriere senza interruzioni.

Quindi, la riforma che il governo intende introdurre nel 2026 sembra destinata a favorire solo chi ha retribuzioni medio-alte e carriere contributive continuative. Per chi guadagna meno o ha avuto percorsi lavorativi discontinui, la possibilità di uscire a 64 anni rischia di restare più teorica che reale, nonostante l’uso del Tfr come strumento integrativo.

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