Pisa, il corpo di Marah racconta la guerra di Gaza: fame, cure negate e una morte a 20 anni – Perché era così deperita
Dal ricovero all’ospedale Santa Chiara alla diagnosi sbagliata a Gaza: la storia di Marah racconta il prezzo che il popolo palestinese paga tra cure negate, malnutrizione e guerra. La preghiera di chi l’ha amata: «Non possiamo credere che tu sia andata via»
PISA. Pare impossibile parlare della morte di Marah Abu Zuhri, 20 anni, palestinese, come di un caso di cronaca “normale”. Perché Marah è la prima vittima di guerra sul suolo italiano, a Pisa. Una guerra di sterminio che non ha vergogna di usare la fame e la negazione dell’accesso alle cure come armi. Ma prima di capire il contesto che ha portato alla sua morte metteremo in fila i fatti, com’è dovere di chi fa informazione, partendo da un ricovero per la diagnosi di una malattia che non c’è. E di una morte che è arrivata, ma poteva non esserci.
Marah è arrivata all’ospedale Santa Chiara di Pisa nella notte tra mercoledì e giovedì. Ad accompagnarla è sua madre. Hanno viaggiato insieme ad altri 11 pazienti e i loro accompagnatori su un volo dell’aeronautica militare proveniente da Eliat, nel sud di Israele. La giovane palestinese è l’ombra della giovane e forte ragazza che era nemmeno un anno prima. Il suo quadro clinico è fosco: «È arrivata con l’ipotesi di una leucemia acuta molto grave, era estremamente defedata (in grave stato di deperimento fisico, ndr), in condizioni di completo allettamento pur alla sua giovane età. Non è una storia di due giorni fa, ma più di una malattia probabilmente sottostante non diagnostica», spiega la professoressa Sara Galimberti, direttrice dell’unità operativa di Ematologia di Pisa, dove la 20enne viene ricoverata.
La diagnosi che non corrisponde
Marah insomma non può alzarsi dal letto, ha perso tantissimo peso e massa muscolare. La prima cosa da verificare è se ha davvero la leucemia. «Abbiamo fatto lo striscio di sangue periferico e le cellule cattive non sono state documentate. Abbiamo iniziato la terapia ad hoc che abbiamo sospeso appena arrivati i risultati specifici», spiega ancora Galimberti. È l’unica informazione che i medici italiani hanno potuto vagliare. Un dettaglio centrale, che chiarisce bene quale sia la possibilità di accesso alle cure dei cittadini palestinesi. Sulla cartella clinica, l’unica informazione su questa paziente così provata è sbagliata.
La situazione al suo arrivo e la nutrizione ipercalorica
Bisogna quindi partire dall’inizio per fare una diagnostica. Pessimi i parametri coagulativi, molto basse le proteine. Viene fatta una consulenza nutrizionale, cominciando una nutrizione ipercalorica ad hoc. Si tratta di un quadro clinico perfettamente compatibile con una persona in stato di malnutrizione, considerato anche i dati condivisi a luglio nell’ultimo Allerta Ipc dell’Onu che evidenzia come a Gaza siano state superate due delle tre soglie di carestie. Dell’ultimo anno di vita di Marah però si sa poco, quasi nulla. Quel che è certo è che era molto malata, non aveva avuto accesso alle giuste cure, tanto che la diagnosi era sbagliata ed è stato necessario iniziare una nutrizione specifica per provare a riportare i parametri alla normalità.
La carenza di proteine e l’arresto cardiaco
«Non posso dire che era malnutrita, questo non lo so. La condizione era ipoprotidemia, cioè basse proteine, ma è un quadro compatibile con altre situazioni», spiega Galimberti. Nel pomeriggio di Ferragosto i parametri di Marah sono normali, i medici sono passati due volte a controllarli. A un quarto d’ora di distanza dal primo check si sono accorti che saturazione e ossigeno sono peggiorati, è stata avvertita la rianimatrice e Marah è stata intubata. Era troppo debole e non ce l’ha fatta. La causa di morte è crisi respiratoria acuta e arresto cardiaco. I familiari hanno chiesto che non sia fatta l’autopsia, una richiesta accolta dalla direzione sanitaria. «Lei e la madre sono state insieme fino alla fine», dice Galimberti. «Abbiamo fatto il possibile, come si fa per i pazienti di qualsiasi sesso, età, etnia, censo», conclude Galimberti con un cristallino senso dell’etica della professione. Ringraziando anche l’aiuto della mediatrice culturale nelle fasi più dolorose di questa vicenda.
La preghiera di chi l’ha amata
Chi le ha voluto bene ha condiviso una foto di Marah di un anno fa, con una preghiera. “Che Dio ti abbia nella sua misericordia, che ti accolga e che tu sia in paradiso. Non possiamo credere che hai salutato questa vita terrena, preghiamo sì che la tua sofferenza e la tua malattia siano per te l’accesso al paradiso”. Ce la traduce Izzedin Elzir, imam di Firenze. Suona come tanti altri addii ascoltati purtroppo in tante altre tragedie di giovani vite spezzate dalla malattia in Italia.
Ma questo, si è detto, non è un caso di cronaca qualunque. Marah ha testimoniato con la sua morte quello che molti continuano a negare. Il prezzo che il popolo palestinese sta pagando per un massacro. «A vent’anni si sogna, si ama, si sbaglia, si desidera e si immagina il futuro. Lei invece ha dovuto combattere con la fame. E la fame l’ha uccisa», scrive l’assessora regionale alla Protezione Civile, Monia Monni. «Marah aveva 20 anni e la sua sola colpa era di essere palestinese. Lei non c'entrava nulla con Hamas, con il 7 ottobre. Speravamo potesse salvarsi invece è morta in un letto di ospedale, stremata e lontana dalla sua terra. Si muore così a Gaza», le fa eco l’assessora Alessandra Nardini. Senza quella guerra, con le giuste cure, forse la vita di Marah non sarebbe finita così presto.