Riccardo Fogli su Piombino in Maremma: «Buttero, operaio o portuale? Siamo tutti toscani»
Il cantante vive a Campiglia dopo aver fatto il gommista nella città della Lucchini: «Sono legato a Livorno per via degli studi, ma nel mio podere ho imparato ad andare a cavallo. Agroppi? Avrebbe detto che non è d'accordo»
Piombino Riccardo Fogli, una vita sul palco, è un artista diviso in quattro: nato a Pontedera, figlio di un operaio, cresciuto a Piombino «dove da ragazzo facevo il gommista», ora vive per gran parte dell’anno a Campiglia, in un podere con cinque ettari di terreno dove corrono i cavalli che «monto come i butteri». Ma tra il 2008 e il 2009 ha studiato a Livorno, alla scuola serale, «per mantenere una promessa fatta a mia madre prima di morire». Il cantante, vincitore a Sanremo nel 1982, in questi giorni è a Roma. «Sto partecipando al programma di Raiuno con Marco Liorni “Ora o mai più”. Sabato va in onda la quinta puntata, poi ci fermiamo per il Festival».
Fogli, ha sentito che il sindaco di Piombino Francesco Ferrari vuole cambiare provincia: lasciare Livorno e andare con Grosseto?
«Personalmente mi sento molto livornese. Mi sono diplomato in ragioneria alla scuola serale Attias, in via Marradi. Sono ancora in buoni rapporti con la direttrice, ci sentiamo, verso di loro nutro un ricordo affettuoso».
Scusi, questa del diploma alla scuola serale in ragioneria non l’avevamo mai sentita...
«Era un fioretto, una promessa fatta a mia madre prima che morisse. In un momento di lucidità – era malata di Parkinson e Alzheimer – mi disse che le dispiaceva non avermi fatto diventare ragioniere come il Rossi, dal quale andava quando arrivavano a casa le lettere scritte in burocratese e lei non le capiva, mentre il ragioniere tutto sapeva».
Detta così allora si sente più portuale livornese che buttero maremmano?
«A pensarci però mi sento anche buttero, per via dei cavalli. Nel podere a Madonna di Fucinaia, nel comune di Campiglia, i nostri cinque ettari di terreno erano una specie di ospizio in cui gli amici lasciavano il loro cavallo. È per questo che ho imparato a cavalcare alla maremmano. Quindi mi sento buttero e anche pisano. Forse ha ragione il mio amico Marco Masini quando mi definisce un pisano-livornese».
Una definizione inusuale, non so quanti la prenderebbero come un complimento.
«Guardi, per me che non ho vissuto la diatriba e non sono mai andato a fare a bastonate lo sento come un folklore lontano. Anche perché è vero: sono nato a Pontedera in provincia di Pisa, vissuto a Piombino, ora abito felicemente a Campiglia, dove verrò seppellito accanto al mio babbo e alla mia mamma. L’ho detto anche alla sindaca, ovviamente spiegandole che aspetto volentieri qualche altro anno».
Senta, cosa direbbe il suo amico Aldo Agroppi riguardo alla possibilità che Piombino passi alla provincia di Grosseto?
«Direbbe: “Maremma maiala, non sono d’accordo”. E poi citando Gino Bartali aggiungerebbe che “l’è tutto da rifare”».
Quindi come la risolviamo?
«Ci devo pensare, ma una soluzione potrebbe essere quella di dire che siamo tutti toscani. Anche perché un giorno uno mica può essere grossetano e il giorno dopo livornese».
Però l’Italia è il Paese dei campanili, cambiare sembra un tradimento rispetto alle origini, un po’come se un tifoso viola come lei diventasse gobbo?
«Guardi, quello non è possibile, è nel dna toscano, il sangue dei toscani non è rosso ma viola, mia moglie me lo dice. Il suo invece all’inizio sembrava rosso, poi ho notato che vira sul bianconero così ho chiamato subito l’avvocato (sorride ndr) » .
Ultima cosa: la proposta del sindaco Ferrari arriva nei giorni del trentesimo anniversario dell’uscita del film di Paolo Virzì “La bella vita” manifesto decadente della classe operaia simbolo della città.
«Sono figlio di un metalmeccanico, quando sento parlare di acciaierie e fabbriche penso a mio padre, quei luoghi erano la sua gioia e la sua speranza anche per me il mio futuro perché sognava che diventassi come lui. Purtroppo però quando i guadagni non sono stati più milionari i padroni hanno scaricato tutto sugli operai».l