Il Tirreno

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Le testimonianze

Femminicidio di Klodiana Vefa, le amiche: «Per lui era un’ossessione, lei voleva solo stare bene»

di Pasquale Petrella
Femminicidio di Klodiana Vefa, le amiche: «Per lui era un’ossessione, lei voleva solo stare bene»

Negli ultimi tempi la donna aveva iniziato una nuova relazione

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CASTELFIORENTINO. «Lui aveva l’ossessione verso di lei. Era geloso. Lei voleva solo stare bene. Era una grande lavoratrice, faceva due lavori al giorno, ed era una grande mamma, stravedeva per i suoi due figli», a raccontarlo è Sonia Proietti una delle titolari della pizzeria La Combriccola dove Klodiana Vefa lavorava come cameriera la sera, mentre la mattina era impiegata in un calzaturificio in località Terrafino a Empoli.

«La conoscevo da circa due anni e mezzo, da quando è venuta a lavorare da noi – dice ancora Simona Proietti –. Una donna solare. Si faceva voler bene da tutti e anche se aveva dei problemi in famiglia, li teneva fuori dal lavoro. Una brava ragazza. Ora, dopo le ferie, non era ancora rientrata al lavoro, non so cosa possa aver fatto precipitare il rapporto con l’ex marito fino a questo tragico epilogo».

Ma, quello che la signora Simona Proietti preferisce non dire «perché sono in attesa di essere chiamata dai carabinieri», lo riferiscono in via anonima altre amiche della trentasettenne uccisa: «Erano da anni separati in casa – raccontano (e sembra che la separazione sia stata ufficializzata in Albania, ndr) –. Lei aveva una storia con un altro uomo che aveva conosciuto in pizzeria. Anche l’ex marito lo sapeva e non si rassegnava. La minacciava di continuo».

Minacce di cui erano a conoscenza solo le amiche più strette, perché a Castelfiorentino chi di loro aveva una conoscenza superficiale, li definisce una coppia normale. «Venivano a fare colazione insieme, o da soli e a volte anche con i figli» racconta Gennaro Coppola, titolare del bar O’ Sarracino in via Giulio Masini, a poche centinaia di metri dall’abitazione dei Vefa. «Mi sono sempre apparsi come una famiglia come tutte le altre, senza problemi», conclude Coppola. All’edicola cartoleria Alla Nave, Sonia Mori ricorda l’ultima visita di Klodiana. «È venuta a ordinare i libri per scuola per la figlia minore che frequenta la prima superiore a Empoli. Una donna solare. Non sapevo dei problemi col marito che invece vedevo tutte le mattine al bar a fare colazione prima di andare al lavoro». Un’identica testimonianza la dà il titolare del bar pizzeria Puppino, che si trova quasi di fronte all’abitazione dei Vefa. «Sono venuti a mangiare una pizza qualche volta qui da noi – racconta –. A volte anche con altri famigliari. Non li ho mai visti discutere. Per me, erano una coppia senza problemi».

Il dramma familiare Klodiana se lo teneva dentro e non lo faceva trasparire all’esterno, tanto che ai carabinieri non risulterebbero neppure denunce in passato per eventuali violenze, di cui però Klodiana Vefa ne parlava alle amiche più strette. Una violenza soprattutto psicologica che giovedì sera è esplosa in tutta la sua tragicità. Tre colpi di pistola a bruciapelo sul marciapiede in via Luigi Galvani davanti al civico 21 a meno di una decina di metri dalla rampa di scale del palazzo dove erano i loro due figli di 14 e 17 anni.

Un rapporto, quello di separati in casa, fra Klodiana e Alfred che potrebbe aver fatto incrinare anche le relazioni con gli altri famigliari. Di sicuro è venuto meno quello con la famiglia del fratello Artan. «Con loro abbiamo rotto i rapporti, non ci sentiamo più da due anni – dice la cognata –. E su quanto è successo non abbiamo nulla da dire».

Una rottura che potrebbe essere stata causata proprio da quel tipo di relazione che Klodiana e Alfred stavano portando avanti e con lei che aveva una relazione con un altro uomo. Un rapporto che nella cultura albanese sarebbe inaccettabile e le regole del Kanun (il codice delle norme tradizionali albanesi, tramandato per millenni oralmente) dicono che il disonore vada lavato col sangue. Forse è stata proprio la pressione culturale che giovedì sera ha portato al femminicidio.




 

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