Lascia l’università e decide di fare il pane della tradizione in Toscana: chi c’è dietro al successo dell’antica Marocca
Il sogno di un giovane dietro il successo di Casola, per una storia che nasce in Lunigiana: ora è presidio Slow Food
LUNIGIANA. Se ha una certezza è quella che oltre il possibile non si va. «Il mio motto è fare ciò che si può, al meglio». Dopodiché si rischia di diventare super eroi, se va bene. Mentre se va male ci si rimette in salute. Come gli è accaduto una decina di anni fa quando immerso con le mani in pasta nel vortice di un lavoro che lo stava fagocitando, si è trovato a curare un’ernia che lo ha portato in sala operatoria. Ma quello stop forzato di qualche mese lo ha rimesso sulla via giusta. Che poi era anche il motivo per cui a ventidue anni aveva lasciato gli studi in Sociologia all’Università di Pisa, richiamato dalla sua Lunigiana.
Raggiungiamo Fabio Bertolucci mentre consegna la Marocca, partito al mattino presto dal forno costruito venti anni fa nel prato di Canoàra a Casola di Lunigiana, in un appezzamento erboso regalatogli da nonna Sara. In questo racconto il richiamo alla terra è potente, tanto che di recente un nuovo prato ha fatto emergere dai rovi i ruderi di un metato. Vuole comprarlo per essiccarvi le castagne da inserire nel pane che lo ha reso famoso, unico ormai a sfornarlo. E di grazia che c’è lui. La sua storia è fatta di sogni da realizzare.
La storia
«Basta solo crederci. Che significa affrontare la paura del fallimento ed essere pronti al sacrificio – dice Fabio Bertolucci, classe 1981 - Non a caso i sogni sono preziosi». Così, in un valzer fatto di razionalità ed entusiasmo, poco più che ventenne prese in affitto un vecchio forno a Casola. Cinque anni dopo costruì l’odierno a Canoàra. «Ho seguito ciò che sentivo dentro, il richiamo della mia gente. Solo più tardi è arrivata la razionalità, ma inizialmente è stata una follia – sorride – che nel tempo ha rivelato il suo grande valore. Oggi sono felice». E quel valore non è legato solo al ritorno personale in benessere, bensì soprattutto per la collettività, traducendosi in un incentivo alle filiere locali: da quella del grano a quella della castanicoltura, le semine, sviluppando un turismo attratto dalla fama che sta crescendo attorno a questo panificatore coraggioso. Senza fare studi di settore e piani di marketing Fabio Bertolucci dedica la sua vita ad un prodotto che racconta la storia di una collettività e di cui diversamente non avremmo più sentito parlare.
Il sogno
Un sogno, dicevamo, che ha contribuito al processo tutt’oggi in atto di sensibilizzazione alla qualità del cibo. Di cui parla partecipando ai mercatini di filiera corta, fiere e iniziative simili, contribuendo a fare crescere l’attenzione sull'importanza delle scelte alimentari. Sono passati quasi venti anni ma la linea da seguire è ormai una: dedicarsi alla Marocca.
Che deve il nome al termine dialettale “ammaroccato”, vale a dire compatto rispetto ai filoni di grano tenero. Perché quella pagnottella dalla ricetta antica contenente per metà farina di castagne provenienti da Lunigiana e Garfagnana, cresce a fatica spinta dalla pasta madre. Ne sforna circa 300 a settimana in pezzature che vanno dai 500 ai 250 gr. E se fino allo stop forzato infornava tutte le notti, oggi lo fa solo tre volte a settimana.
Ma la sua storia in realtà è partita dal pane di Regnano, altra tipicità dei colli di Luni, da farine macinate a pietra di cui 30% circa della coltura autoctona di grano Ventitre, lievito madre, più le patate del territorio. E infine tutto nel forno a legna, unico mezzo di cottura ammesso in questa dichiarazione di fedeltà ad un ritorno alla vita lenta. Anche se affatto strutturato, non mancano i cultori della sua pagnottella buona con il dolce e con il salato, la cui morte resta in compagnia di una sottile fettina di lardo di Colonnata. Per evitarci di salire fino a Regnano (dove lo troviamo solo il venerdì e il martedì pomeriggio, più il sabato se ha fiere la domenica), tutti i sabati scende al Mercato della Terra di Sarzana e la prima domenica del mese in piazza Garibaldi a Pontremoli, mentre l’ultima domenica è a quello di Fiesole. Inoltre una volta a settimana parte dal suo prato per consegnare ai clienti fra Spezia e Pontremoli. «Senza qualcuno che commercializzi, devo arrangiarmi da solo – aggiunge – D’altra parte chi vuoi che perda tempo a trattare con così poco margine di ricavo». Intanto lui è felice.