Il Tirreno

Musica

Iva Zanicchi compie 85 anni, l’aquila di Ligonchio con la Toscana nel cuore: la Garfagnana, l’amore per Lucca e il primo successo a Viareggio

di Luca Tronchetti

	La cantante durante una esibizione al Maurizio Costanzo Show (Foto Imagoeconomica
La cantante durante una esibizione al Maurizio Costanzo Show (Foto Imagoeconomica

La cantante: «Il mare della Versilia ha accompagnato tutta la mia vita»

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Una D...Iva della musica leggera. Blues, soul, pop, folk, brani d’autore e canzoni d’amore. Sessantacinque anni di carriera vissuti da protagonista con 10 milioni di dischi venduti nei 32 album pubblicati, finiti nelle hit parade di tutto il mondo, e tra le poche artiste ad essersi esibita nei più importanti teatri internazionali: dal Madison Square Garden di New York all’Olympia di Parigi. Ma soprattutto il record femminile di vittorie al Festival di Sanremo. Tre successi (1967, 1969, 1974) su 11 partecipazioni alla kermesse canora.

Compie oggi 85 anni, Iva Zanicchi, l’aquila di Ligonchio (Reggio Emilia) e signora della musica italiana, una delle cinque grandi voci femminili degli anni Sessanta-Settanta accanto a Mina, Milva, Patty Pravo e Orietta Berti. Una vocalità straordinaria per potenza ed estensione e un’interprete dotata di personalità, grinta e passionalità che nel corso della sua carriera si è cimentata anche in teatro, tv e cinema con stile inconfondibile. L’Iva nazionale non si sente un valore aggiunto e, al di là dell’indiscutibile talento, sostiene che alla base del successo ci sia sempre un pizzico di buona sorte: «La fortuna è fondamentale nella vita. Se a 16 anni non mi avesse visto il grande regista Ermanno Olmi in uno spettacolo che aveva organizzato a Ligonchio per conto della Edison, società di produzione e distribuzione di energia, che gestiva la centrale idroelettrica in cui lavorava mio babbo Zefiro, avrei continuato a cantare le melodie alpine e montanare nell’osteria di mia nonna Armida o i requiem liturgici e i de profundis per solenni cerimonie e funerali celebrati in chiesa». All’epoca non esistevano i talent e si fece vivo Gianni Ravera, il produttore musicale più noto del periodo, che iscrisse la giovanissima Zanicchi al Festival per voci nuove di Castrocaro. Era il 1961.

La garfagnina

Un’emiliana che si è sempre sentita toscana: «Sino a 18-19 anni mi chiamavano la “garfagnina”. Con mamma Elsa, che aveva una splendida voce ereditata dalla bisnonna Desolina, le mie sorelle e mio fratello Antonio abitavamo nella piccolissima frazione di Vaglie dell’allora comune di Ligonchio. Le lotte medievali tra guelfi e ghibellini toscani influirono talmente sulla storia del paese che in famiglia sono rimaste le usanze della Toscana e soprattutto della Garfagnana: dagli stupendi canti popolari in rima ai piatti tipici come la polenta, il neccio e la minestra di farro. Quando posso faccio un salto anche a Lucca, una città-scrigno che adoro».

Sarà un caso, ma il primo grande successo della sua straordinaria carriera lo ha ottenuto nel 1964 al “Burlamacco d’Oro” di Viareggio con il brano immortale e il preferito Come ti vorrei, capace di vendere 400.000 copie e balzare ai primi posti delle classifiche. «Il mare della Versilia ha accompagnato tutta la mia vita. Dai 6 ai 12 anni passavo le vacanze estive in una colonia balneare a Marina di Massa e con la famiglia ci avevano assegnato una casetta di legno nella pineta di Partaccia a due passi dalla spiaggia. Per me era il paradiso terrestre».

E non dimentica i suoi esordi in Versilia e l’esibizione alla Bussola di Sergio Bernardini: «Gli inizi sono stati durissimi. Ma devo tanto a Raffaello Giachini che mi aveva permesso di cantare a Viareggio, alla Capannina di Raffa che all’epoca era famosa. Mi dava vitto e alloggio e mi faceva dormire in una stamberga. Come ti vorrei è di quel periodo e lui scommise con me che se quel brano fosse entrato in classifica avrei dovuto esibirmi gratuitamente in due concerti in Versilia e in uno a Prato dove aveva un altro locale. Vinse, ma era un uomo generoso e alla fine del recital mi offrì un ricco chacet». Però il regalo più bello glielo fece Sergio Bernardini, l’ideatore della Bussola: «Al termine dello spettacolo mi presentò il mio mito: Caterina Valente. Una musicista pazzesca che come voce e padronanza scenica rimane la più grande. Fu lei a chiedermi l’autografo per suo per figlio che era un mio fan».

Le vittorie al Festival

Dopo aver partecipato alle edizioni del 1965 e del 1966, alla terza presenza si aggiudica la competizione in coppia con Claudio Villa con il brano Non pensare a me che non voleva nemmeno cantare. «Avevo 27 anni e se avessi avuto la personalità dei miei anni ruggenti avrei rifiutato quel pezzo melodico accettando il beat de L’immensità composto da Mogol e Don Backy più incline alle mie corde vocali. Ma i produttori della mia casa discografica dissero che se volevo vincere il Festival avrei dovuto partecipare in coppia con il “Reuccio”. Villa non era un personaggio facile e quel primo successo non me lo sono goduto. Anzi, è stato un momento tristissimo per la tragica fine di Luigi Tenco».

Nel 1969 la vittoria che l’ha resa immortale con Zingara eseguito con Bobby Solo: «Sin dalle prime note capimmo che potevamo farcela nonostante in quel Festival ci fossero interpreti del calibro di Rita Pavone, Fausto Leali, Caterina Caselli e Lucio Battisti. Il singolo ha venduto nel mondo oltre 25 milioni di copie. Fu una vittoria che mi spalancò le porte del successo e ho rivendicato quel brano in un siparietto divertente con Papa Bergoglio in un incontro avvenuto a dicembre. Conversando amabilmente il Santo Padre ha parlato della canzone della zingara attribuendola a Mina. “Eh no Santità, la cantante sono io” provocando l’ilarità di Papa Francesco».

Nel successo del 1974 con il pezzo dal titolo Ciao cara, come stai? c’è lo zampino di un giovanissimo Cristiano Malgioglio: «È stato uno degli autori e ha scritto per me anche Testarda io. Ma la terza vittoria sul palco dell’Ariston è stata una sorta di toccata e fuga. Stavo lavorando in teatro nello spettacolo “Fra Noi” con Walter Chiari quando mi arrivò il brano e la proposta di partecipare al Festival. Lo dico all’istrionico artista e lui mi guarda e mi fa “Ti concedo tre giorni solo perché c’è una pausa dello show”. Il tempo per esibirmi la prima serata, la finale di sabato, ritirare la statuetta del leone rampante sulla palma che viene consegnata al vincitore e uscire fuori dal teatro dove il grande affabulatore mi aspettava in auto per riprendere la tournée» .


 

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