Il Tirreno

Prato

La maxi operazione

Blitz nel carcere di Prato, telefoni nascosti nel ragù e droga nel bagnoschiuma: così le mafie dirigevano i traffici

di Tiziana Gori

	Gli agenti in tenuta antisommossa entrano nel carcere della Dogaia (credit Toscana Tv)
Gli agenti in tenuta antisommossa entrano nel carcere della Dogaia (credit Toscana Tv)

L’operazione utile a spezzare il legame fra detenuti eccellenti e le cosche. Bindo (Uil): l’attenzione continui a restare alta

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PRATO. Della situazione di illegalità diffusa di cui è pervaso il carcere della Dogaia la procura è consapevole da tempo. Anche i detenuti in regime di Alta sicurezza, per quanto con restrizioni più severe rispetto al regime ordinario, possono comunicare con l’esterno. Ci sono camorristi, ’ndranghetisti, mafiosi, esponenti della Sacra corona unita, criminali di nazionalità cinese e albanese. La difficoltà a garantire la legalità all’interno, ha spinto a dare un segnale forte. E l’ispezione di sabato mattina - tenuta segreta anche ai nuovi vertici del carcere - e portata avanti da 263 agenti di varie forze di polizia, il segnale l’ha dato.

La Dogaia non può essere zona franca per le mafie. Il blitz è stato utile per spezzare il legame fra detenuti eccellenti e le cosche all’esterno. O quantomeno per interromperlo o renderlo più complicato. Per far diventare la Dogaia un carcere sicuro servirebbe anche altro: «Serve – afferma Ivan Bindo, segretario della Uil polizia penitenziaria – che l’attenzione del governo nei nostri confronti non si allenti».

L’indagine coordinata dal procuratore Luca Tescaroli ha preso il via nell’estate del 2024. Nell’ispezione di sabato sono stati perquisiti 127 detenuti, di cui tutti i 111 dell’Alta sicurezza. Di questi 14 nella veste di indagati (tutti cittadini italiani, numerosi dei quali in carcere per reati di criminalità organizzata). Anche larghi spazi della Media sicurezza sono stati oggetto di ispezione, in particolare gli spazi comuni, con i 16 detenuti lì presenti (di cui 13 nella veste di indagati. Tre agenti penitenziari, di età compresa tra i 29 e i 32 anni, sono indiziati di corruzione.

E altre dieci perquisizioni sono state in contemporanea eseguite a Prato, Arezzo, Napoli, Roma, Firenze, Pistoia. Nelle case di soggetti ritenuti essere i contatti con l’esterno dei detenuti per reati di mafia. Dal luglio dello scorso anno sono 34 i cellulari di ultima generazione, i microtelefoni, gli smartwatch e le schede telefoniche risultate in uso ai detenuti dell’Alta e Media sicurezza. Strumenti con cui i mafiosi potevano dirigere i loro traffici, o tentare di farlo, anche all’interno.

«Tredici sono stati trovati in un solo giorno, a marzo – racconta Ivan Bindo – con l’ausilio dei reparti di polizia penitenziaria di Firenze e Livorno. Più volte sono state eseguite perquisizioni mirate. Ma reparti come quello dell’Alta sicurezza, dove si trovano esponenti mafiosi e soggetti autori di fatti di riprovazione sociale vanno gestiti con particolare attenzione».

Un’attenzione che manca? «Da quando è andata via la storica comandante, rimasta in carica dal 2014 al 2020, il carcere di Prato è stato abbandonato. Nonostante sia un istituto di primo livello. Negli ultimi anni non abbiamo mai avuto un comandante o un direttore durati più di 3-4 mesi. Anche la direttrice attuale – prosegue il sindacalista Uil – è arrivata a maggio e se ne andrà ad agosto. È stata nominata dirigente dell’Ufficio II del Dipartimento a Roma. Diventa difficile in questo modo, per la procura, fare le sue indagini, ma anche per gli operatori penitenziari lavorare. Questo perché ogni dirigente che arriva - e ci sta poco - prende le sue decisioni. Ma gli interventi necessari non vengono mai eseguiti. Pensiamo alla manutenzione, abbiamo una parte della sezione dei comuni che cade a pezzi. Abbiamo dovuto far trasferire 50 detenuti in altre carceri perché lì non potevano più stare, e anche per questo non siamo eccessivamente in sovrannumero. Fare un acquisto o una riparazione diventa difficile, per una questione di fondi e per la mancanza di dirigenti che stiano qui per più di pochi mesi».

Un esempio: «Al controllo pacchi, dove sono stati trovati cellulari e droga, abbiamo un solo agente, che ne deve controllare 20-25 al giorno. A parte l’ingegnosità dei nascondigli escogitati da chi viene a portare il pacco al detenuto, la Dogaia è priva di uno scanner per rilevare la presenza di oggetti sospetti all’interno dei plichi inviati ai detenuti. Il solo agente a disposizione deve scartarli tutti, e qualcosa sfugge».

Mettiamoci poi la creatività dei sotterfugi. La particolare sospettosità di un agente ha permesso di scoprire un microtelefono dentro il contenitore del ragù di carne portato a un detenuto. Una bustina di droga, invece, è stata trovata in un bagnoschiuma.

In seguito alla maxi ispezione di sabato sono 27 i detenuti indagati e quattro gli agenti di polizia penitenziaria, che saranno ascoltati nei prossimi giorni. Alcuni sono indiziati di essere “a libro paga” e aver ricevuto compensi per far passare droga e telefoni all’interno.

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