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Il caso

Retrocesso il teatro della Toscana, il ministero boccia Massini: è ufficiale

di Mario Neri
Retrocesso il teatro della Toscana, il ministero boccia Massini: è ufficiale

Funaro: «Punizione politica. Ci declassano? Faremo ricorso»

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FIRENZE. A Firenze, in via della Pergola, non va più in scena solo il teatro. Ora va in scena anche la politica. E non è una bella commedia. Il Ministero della Cultura ha confermato il declassamento della Fondazione Teatro della Toscana, togliendole lo status di Teatro Nazionale. Pergola in serie B.

L’atto è stato formalizzato in un verbale di 21 pagine, redatto dalla Commissione Consultiva per il Teatro, riunitasi il 7 e 8 maggio scorso, e arrivato come una bomba nelle mani della sindaca Sara Funaro (che ha studiato psicologia, non macchinazioni romane). Le motivazioni sono tecniche, vagamente giuridiche, ma l’effetto è tutto politico. E personale.

Sotto accusa c’è Stefano Massini, il direttore artistico, autore di successo e volto noto di La7, che secondo i commissari ha personalizzato troppo la direzione artistica. Testuale: «Non si tratta più del Teatro della Toscana, ma del Teatro del Direttore Artistico Stefano Massini». Colpa sua se la programmazione è «autoriferita», «generica» e – attenzione – «se non» addirittura «inesistente». Un processo in piena regola, ma senza la toga.

La Commissione, da cui ben tre membri si erano dimessi, punta il dito anche su una clausola del contratto di Massini, secondo cui egli «individua insindacabilmente, determina e dispone le linee artistiche». E qui parte il ragionamento contorto: la formula sarebbe contraria allo statuto della Fondazione, dunque il contratto sarebbe nullo, e dunque tutto ciò che è stato pensato o sognato – puff – non esiste.

Poi c’è Favino. O meglio: non c’è più. La scuola “Oltrarno”, diretta dall’attore, è stata chiusa. Costava troppo, dice la Fondazione (800mila euro l’anno per venti allievi). Ma per la Commissione rappresentava un valore simbolico e qualitativo. Al suo posto ora c’è il più classico Centro Orazio Costa, ma pare non basti: poche ore, meno carisma. Il nuovo non convince, il vecchio non basta. Tipico. A Firenze il clima è da “offesi ma non vinti”. L’assessore alla cultura Giovanni Bettarini, di solito misurato, stavolta non la manda a dire: «È una punizione politica. Una valutazione basata su pregiudizi e non su giudizi. Ci tolgono i famosi venti punti senza un vero motivo».

La sindaca Sara Funaro, non meno diretta, ha annunciato ricorso: «Impugneremo la decisione del Ministero. Le motivazioni sembrano pretestuose. Il governo ha deciso di punire Firenze. Ma il nostro Teatro merita rispetto».

Dietro tutto questo, s’intravede la guerra silenziosa tra modelli culturali e pure fra il governo di destra che applica lo spoil system col carrarmato e la sinistra che per la prima volta, a queste latitudini, fa i conti col vuoto di potere: perché subisce quello centralista, ministeriale. Soprattutto, s’intravede il riflesso di una frattura interna mai sanata. Marco Giorgetti, storico direttore generale della Fondazione, uomo d’equilibrio e cerniera tra Firenze e Roma, è uscito di scena. E qualcuno, tra le righe del verbale, pare rimpiangerlo. La prova? Basta leggere la clausola finale della decisione, quella che lascia aperta la porta, ma solo per chi ha le chiavi giuste: «L’organismo potrà essere rivalutato qualora le caratteristiche soggettive del soggetto proponente mutassero». Frase da manuale per dire: se cambiate assetto, ne riparliamo. Se torna Giorgetti, forse si può discutere. E c’è di più.

Poche settimane fa il ministro Giuli, famoso per il suo lessico da filosofo e le circonlocuzioni colte, aveva pronunciato una frase che suona oggi come una sentenza: «Il miglior erede di Giorgetti è Giorgetti». Una tautologia perfetta, dal sapore vendicativo. Oggi, nel silenzio delle motivazioni ministeriali, quel nome – Giorgetti – torna a risuonare come una chiave politica. E Massini, intanto, rimane al centro del proscenio. Ma senza più il titolo nazionale. Nel frattempo, la Fondazione si difende: programma confermato, statuto in aggiornamento, bilanci approvati. Ma la Commissione non si lascia incantare: «la disfunzione resta», e il verdetto è servito.

Così Firenze si ritrova senza etichetta nazionale, venti punti in meno eppure una stagione con i big: Servillo, Germano, Lavia.... Il teatro resta, gli spettacoli si faranno, Massini continuerà a scrivere e raccontare. Ma l’impressione è che questa storia sia tutt’altro che chiusa. Più che una fine, è il primo atto di un dramma istituzionale. E forse anche personale.

Nel frattempo, il governo si gode la scena. E Giuli può appuntarsi la Pergola come una battaglia vinta. A colpi di verbali, clausole e formule un po’ così.l

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