Il Tirreno

Prato

L’inchiesta

O’ sindaco, Caramella e Cavalluccio: gli affari a Prato della banda dei finti pentiti di camorra

di Paolo Nencioni

	L'autonoleggio ora chiuso in via Valentini
L'autonoleggio ora chiuso in via Valentini

I retroscena dell’inchiesta sui tentativi di infiltrazione del clan Sarno. Le rate delle estorsioni venivano pagate in un autonoleggio di via Valentini

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PRATO. È una storia di pentiti che si sono pentiti di essersi pentiti (o meglio, che hanno fatto finta di pentirsi) quella che ha portato la Direzione distrettuale antimafia di Firenze a indagare sugli affari della camorra a Prato, con l’emissione di 12 misure cautelari (5 in carcere, 5 ai domiciliari e due interdizioni) nei confronti di altrettanti indagati accusati di aver fatto parte di un’associazione a delinquere che voleva replicare il modello di controllo dell’economia e del territorio già applicato con successo in Campania.

Il finto pentito più importante si chiama Ciro Sarno, 66 anni, e fino a qualche anno fa è stato un pezzo grosso della camorra a Napoli, essendo stato il reggente dell’omonimo clan di Ponticelli. Si faceva chiamare “o’ sindaco” perché già negli anni Ottanta gestiva gli alloggi dei terremotati. Arrestato nel 1989, si è fatto 20 anni di carcere a Spoleto e poi nel 2009 ha deciso di collaborare facendo credere di aver cambiato vita. Ma in un’intercettazione ambientale del 6 aprile 2023 lo si sente dire: «Sono tornato a fare il camorrista! Qualche problema? Sono tornato a fare il camorrista e lo faccio dove voglio e dove dico io! Chiuditi nel cesso! Hai capito?». Aveva appena litigato col figlio Antonio, 47 anni, anche lui finito in carcere martedì, che gli aveva contestato di usare metodi mafiosi che non era più il caso di usare, almeno a Prato. Entrambi sono finiti in carcere insieme a Vincenzo e Pasquale Sarno, fratelli di Ciro, e al cugino Giuseppe Sarno. Secondo la Dda e la guardia di finanza che ha condotto le indagini, hanno tentato di infiltrare il tessuto economico pratese. Come? Estorcendo denaro ai loro conterranei di Montemurlo Natale Suarino e Pietro Cozzolino (quest’ultimo un nome ricorrente nelle cronache locali quando si parla di stracci e camorra); tentando di far arrivare dalla Croazia attraverso la Slovenia 50 pachistani da impiegare poi nelle aziende di Prato gestite da cinesi; emettendo una montagna di fatture per operazioni inesistenti da rivendere poi a chi non vuole pagare le tasse, con una commissione del 6%.

Un po’ poco per parlare di una rinascita della camorra in salsa pratese, ma abbastanza per far suonare un campanello d’allarme. Ma “o’ sindaco” non è il solo soprannome curioso di questa storia. Pasquale si fa chiamare “Giò Giò”, Giuseppe per gli amici è “Caramella”, Vincenzo è “Cavalluccio”, Antonio è “o’ Tartaro”. E poi c’è Franco Cozzolino, 54 anni, finito ai domiciliari, che per qualche motivo si faceva chiamare “Berlusconi”. Nomignoli che potrebbero far pensare a un’allegra brigata. In realtà secondo i magistrati anti-mafia è un gruppo pericoloso che ha tentato di farsi strada con la violenza. A Pietro Cozzolino e Natale Suarino avrebbero estorto 18.500 euro per presunti passati favori. Le consegne del denaro contante avvenivano spesso in un anonimo autonoleggio, il Noleggiò al 42 di via Valentini, non lontano dalla Camera di commercio, ora chiuso. A un certo punto, come detto, alcuni membri del gruppo avrebbero tentato di far arrivare 50 pachistani clandestini dalla Slovenia, dopo aver preso accordi con imprenditori cinesi di Prato che avevano bisogno di manovalanza a basso costo. Erano già andati in Croazia con un furgone ma dovettero desistere per i controlli della polizia croata. Infine le false fatture, emesse da otto società di comodo (Cozzi Costruzione srl, Elevator Market srl, A.P. Costruzioni srl, A.V. Investment srls, Cnt Group srl, General Commerce srl, Global Seller srl) per consentire ad altri di evadere le tasse. 

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