Il Tirreno

Pistoia

Il processo

Omicidio Cini alla Ferruccia, chiesto l’ergastolo per Daniele Maiorino

di Lorenzo Carducci
Omicidio Cini alla Ferruccia, chiesto l’ergastolo per Daniele Maiorino

La conclusione del pm in corte d’Assise. La difesa: un errore escludere che possa essere stata una donna. Parti civili: invocati risarcimenti per 1,5 milioni di euro per la figlia della vittima e 200mila euro per il fratello e la sorella

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AGLIANA. Alessio Cini è stato ucciso pochi istanti prima delle 5,58 dell’8 gennaio 2024 ed è stato ucciso da Daniele Maiorino. Comincia così, ieri mattina (giovedì 17 luglio) nell’aula bunker della corte d’Assise di Firenze, la requisitoria del pubblico ministero Leonardo De Gaudio, volto dell’accusa nel processo sull’omicidio dell’operaio di 57 anni originario di Sant’Ippolito di Prato, ucciso nel cortile davanti la villetta trifamiliare in via Ponte dei Baldi, alla Ferruccia di Agliana, dove abitava con la figlia minorenne. Proprio al piano di sopra rispetto all’appartamento nel quale viveva con la moglie e la figlia il cognato Daniele Maiorino, 59 anni, accusato di aver ucciso Cini nel cortile esterno della villetta, prima colpendolo alla testa con una spranga e poi dandolo alle fiamme mentre era stordito a terra, ancora vivo. Nei suoi confronti, il pm conclude chiedendo la condanna all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla crudeltà.

La tesi accusatoria

In circa un’ora di intervento, il pubblico ministero ripercorre il "film" del delitto così come ricostruito a partire dalle indagini, a suo avviso avvalorato dalle testimonianze e in generale dall’istruttoria in Assise. Cini comincia quella tragica mattina recandosi al distributore di benzina alle 5, 30, per riempire la tanica usata per il suo furgone. Di lì a poco torna, parcheggia nel vialetto, entra in casa, lascia il giubbotto, le chiavi e riesce. È questo il frangente in cui subisce l’aggressione mortale. Maiorino, dichiarandosi innocente, ha spesso rivolto i propri sospetti riferendosi ai rapporti burrascosi col Cini, compresa l’accesa lite di poco tempo prima. Ma De Gaudio ne ripropone l’alibi. Il corpo della vittima viene dato alle fiamme alle 5,58 e in base alle telecamere della sua abitazione e ai tracciati telefonici, il vicino si sarebbe allontanato già alle 5,54. Arrivando al lavoro, vede i filmati delle telecamere dallo smartphone, chiama la moglie che a sua volta si affaccia e allerta i soccorsi.

L’autopsia sul corpo di Alessio Cini evidenzia un trauma cranico da colpo inferto con una spranga: per la conformazione delle ferite non può trattarsi di un bastone (con cui il vicino portava a spasso il cane) o di uno zappetto da giardino, sottolinea il pm in contrasto con le ipotesi della difesa. Poi traumi toracici per i colpi ripetuti (probabilmente dei calci) subiti a terra e lesioni alle mani nel tentativo di pararli. Quello al cranio è un colpo dall’alto verso il basso, il che fa pensare che la vittima fosse piegata o in ginocchio. I due volontari del soccorso e il vigile del fuoco che arrivano per primi, dicono che Maiorino non esce mai di casa, si limita ad affacciarsi sulla soglia. E si stupiscono che riconosca subito il cognato, nonostante il corpo carbonizzato e il volto girato dall’altra parte. La telecamera dei vicini non riprende l’omicidio e questo per la difesa alimenterebbe i sospetti verso la coppia esterna alla famiglia. De Gaudio però si rifà al perito informatico, che in aula ha negato sia eventuali manomissioni al sistema di videosorveglianza che interruzioni della corrente. Forse, l’aggressione non è stata ripresa perché fuori campo rispetto al sensore di movimento della telecamera.

Ma quali sono in sintesi gli elementi principali a carico di Daniele Maiorino? Il pm ricorda i soliloqui intercettati dalle microspie piazzate nella sua auto nei giorni successivi all’8 gennaio, con frasi come "Ho commesso un omicidio", "Ho perso i’capo", "L’ho preso a calci", "Gli ho dato foco". Parole che il 59enne, nell’esame reso ad aprile, ha detto di aver pronunciato immedesimandosi nel vicino che stava confessando l’omicidio. Si aggiunge la macchia di sangue sulla sua scarpa, che la difesa sostiene derivi da calpestio. E poi la conoscenza e l’esternazione di alcuni particolari che avrebbe potuto sapere solo l’assassino. Il fatto che la tanica di benzina si trovasse su uno scalino, anche se dopo l’omicidio non c’era più, e il fatto che fosse così sicuro si trattasse di benzina. Infine, il disprezzo (più volte emerso) per i sigari e chi li fuma, a tal punto che avrebbe ucciso quelli che lo fumavano. E il cognato quella mattina lo avrebbe fumato, tanto che il vicino avrebbe sentito l’odore.

Il movente

Quanto al movente, per l’accusa potrebbe essersi trattato di un mix tra ragioni economiche e un raptus di rabbia. Maiorino si trovava all’epoca in condizioni di ristrettezza finanziaria e, vista la condizione agiata della famiglia di Cini, avrebbe approfittato della possibilità di amministrare l’eredità della nipote, in caso di custodia. La frase intercettata "Quella ci campa", pronunciata da Maiorino al telefono con la moglie, sarebbe un indizio. Ciononostante, il pm non contesta gli abietti motivi. Il raptus, invece, potrebbe essere scattato proprio per l’odore del sigaro fumato dal cognato, a turbare il sonno di Maiorino (che sostiene di aver dormito fino oltre le 6) disteso sul divano e magari già infastidito dalle luci del furgone. 

Difesa e parti civili

Questa ricostruzione sarebbe fallace, perché fondata sull’erroneo assunto, uno stereotipo di genere, che a uccidere la vittima non possa essere stata una donna. Una mossa a effetto, quella dell’avvocato dell’imputato Katia Dottore Giachino, mirata a spostare l’attenzione e i sospetti sulla vicina, se il marito ha un alibi. Prima di chiedere l’assoluzione del suo assistito per non aver commesso il fatto, la legale cita un’altra intercettazione in auto, in cui Maiorino direbbe "l’hai (o l’avete) ammazzato" immaginando di parlare con la vicina. A precedere le conclusioni della difesa, le richieste di risarcimento delle parti civili. I rispettivi avvocati hanno chiesto 1,5 milioni di euro per la figlia della vittima e 200mila euro a testa per il fratello e la sorella, mentre l’ex moglie si è rimessa alla corte. La sentenza è prevista per il 2 ottobre.

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