Il Tirreno

Il ricordo

Gli inizi nello Sporting club, i tortelli in via Cellini e l’ultima frase su piazza Bovio: Aldo Agroppi e la sua Piombino

di Luca Centini

	Aldo Agroppi nella sua casa (foto Paolo Barlettani)
Aldo Agroppi nella sua casa (foto Paolo Barlettani)

Forse il piombinese che, per decenni, ha saputo incarnare meglio lo spirito di questa città sospesa a lungo tra gli scogli e lo spolverino, poi profondamente cambiata

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Il vicecaposervizio della redazione del Tirreno di Piombino ricorda Aldo Agroppi, campione di calcio, allenatore e opinionista tv morto nella notte tra mercoledì e giovedì all’ospedale di Villamarina, dove era ricoverato da giorni.


Due grandi nuvole grigie coprono la visuale verso l’Elba. Il cielo sopra piazza Bovio sembra vestito a lutto. Aldo Agroppi non c’è più. Campione e bandiera del Torino dei tempi d’oro, giocatore della nazionale, allenatore di successo del Pisa di Anconetani e della Fiorentina, opinionista dalle battute al vetriolo alla Domenica Sportiva.

Aldo ha vissuto tante vite diverse. Certo. Eppure, nonostante la sua carriera lo abbia portato per tanti anni in giro per l’Italia tra terreni di gioco, panchine e studi televisivi, ha sempre tenuto Piombino sotto la sua pelle. Dalla casa di via Pisa a due passi dalla fabbrica in cui è nato, a piazza Bovio, fino a Salivoli, dove per anni ha vissuto con la sua Nadia. Quando Aldo indossava con orgoglio la maglia del Torino non ero ancora nato. Non esistevo quando quel centrocampista piombinese grintoso e duro come l’acciaio segnò il mitico gol del 2-1 in mischia con il quale regalò una vittoria storica ai granata nel derby contro la Juventus. No.

In questo articolo non ricorderò neanche gli anni dell’Agroppi allenatore di successo, né il commentatore sportivo del pane al pane e vino al vino. Coerente e tagliente come lama di coltello. Forse troppo coerente per un calcio che, in quegli anni, stava già perdendo l’innocenza di un tempo. Qui si ricorda un piombinese. Forse il piombinese che, per decenni, ha saputo incarnare meglio lo spirito di questa città sospesa a lungo tra gli scogli e lo spolverino, poi profondamente cambiata. Ma sempre «bellissima», non perdeva mai l’occasione di ricordare nelle sue ospitate in tv o nelle trasmissioni radiofoniche.

L’ultima volta che ho visto Aldo Agroppi è stata alla presentazione e del libro dedicato alla storia del Mobilgronchi, la piccola Juventus del calcio amatoriale. Siamo nella sala conferenze dell’hotel Centrale, lo scorso 16 novembre. «Ciao Menelicche! Disgrazia dove lo hai lasciato?». Disgrazia, per inciso, sarebbe mio padre, uno dei suoi amici. Un sorriso, una pacca sulla spalla e una battuta, come sempre. Poi gli abbracci con lo storico presidente del Mobilgronchi Silverio Gronchi e due parole al microfono per ricordare quella piccola grande storia di sport.

Sì, perché negli anni del successo da allenatore Aldo non esitava, quando tornava in città, a indossare la maglia dei mobilieri e a scendere in campo con i suoi vecchi amici piombinesi. Quelli che non ha mai perso neanche a chilometri di distanza. Agroppi è nato e cresciuto in via Pisa, nella zona della città più vicina alle ciminiere. Non c’erano soldi, solo un pallone da rincorrere. Il babbo Ferdinando era arbitro e aveva il calcio nel cuore. Così Aldo iniziò la gavetta tra i bimbi dello Sporting Club di Piombino e, a 15 anni, nelle giovanili del Piombino sotto la guida del mitico allenatore Emo Capanna che, in quegli anni, ha forgiato la tecnica individuale di centinaia di calciatori. Mediano, tutto corsa e intelligenza tattica, ottimi tempi di inserimento. Non era il più talentuoso in quella nidiata di giovani nerazzurri. Ma era quello di certo più pronto fisicamente e mentalmente al grande salto quando gli osservatori del Torino allungarono lo sguardo sul Magona.

Agroppi non è stato un giocatore banale per il calcio italiano e per la storia di un club glorioso come il Torino. No, in realtà, Agroppi banale non lo è proprio mai stato, neanche quando – ormai lontano dai riflettori – è tornato nella sua Piombino. Odiava l’ipocrisia, era diretto e scomodo quando serviva, ma generoso e amorevole con le persone a cui voleva bene. Sotto la scorza dura come l’acciaio si celava un’anima fragile e malinconica. Ognuno fa i conti con i propri demoni e quelli di Aldo, forse, lo hanno allontanato troppo presto dalle panchine della Serie A. E poi, onestamente, uno così fai fatica a vederlo a suo agio nel calcio di oggi, dove la tattica, gli affari e i diritti tv hanno chiuso in un angolo il romanticismo. Meglio Piombino, il rifugio. La domenica mattina una vasca in corso Italia a sorridere con gli amici di sempre, i tortelli alla pasta fresca in via Cellini, le partite a carte con gli amici quando basta un regio passato nel momento sbagliato per ricreare, tra urla e prese in giro, il clima teso dei derby giocati sotto la curva Maratona.

Le persone vicine ad Agroppi sapevano ormai da giorni quanto le sue condizioni di salute fossero complicate. Ma speravano di ricevere la notizia il più tardi possibile. Magari ai tempi supplementari, come in una partita di coppa. E invece la notizia è arrivata. Aldo se n’è andato. Sembra impossibile. Piombino senza Agroppi? Nessun piombinese, fino a poche ore fa, avrebbe potuto pensare una roba del genere. L’Italia piange il campione che non c’è più, Piombino perde invece il suo amico più sincero. Chissà se Aldo, ovunque si trovi, continuerà ad accarezzare con le sue parole questa strana città, dove si giocava a pallone tra le ciminiere annerite e il mare azzurro come il cielo. «Piazza Bovio ce l’abbiamo solo noi: una terrazza protesa sul mare che spazia su gran parte dell’Arcipelago toscano e nelle giornate limpide arriva sino alla Corsica e Giannutri: per me è il Paradiso terrestre. Da lì guardo il mondo. Qui sono nato e qui morirò. Ho fatto la vita che volevo dichiarando guerra ai servi e ai leccaculo. E non ho rimpianti», dichiarò Agroppi al Tirreno in un’intervista rilasciata lo scorso aprile per i suoi 80 anni. Niente di più vero. Dritto al cuore, come sempre. Ciao Aldo. 

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