Il Tirreno

Il caso

Ragazzina perseguitata dai bulli tenta il suicidio in classe: salvata da una compagna e da un professore

di Giovanna Mezzana

	Grave caso di bullismo in provincia di Massa Carrara
Grave caso di bullismo in provincia di Massa Carrara

Succede in una scuola della provincia di Massa Carrara. La psicologa: «Genitori, siate fallibili e scontratevi con i vostri figli»

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MASSA CARRARA. Chi condivideva con lei il tempo della scuola sa che era vittima di prese in giro e di provocazioni. Di compagni-bulli? «Sì», sostiene chi è informato dei fatti. Ieri l’altro potrebbe esserle caduta addosso la goccia che ha fatto traboccare il vaso; o forse no: forse venerdì è accaduto qualcosa che sarebbe potuto succedere – ormai – in un qualunque altro momento. La realtà è che lei ha tentato di togliersi la vita mentre era in classe. Non ci è riuscita, fortunatamente. Provvidenziali sono stati l’intervento di una compagna di classe e – in una manciata di secondi immediatamente successivi – la prontezza di riflessi e lo slancio del suo professore. È salva: almeno fisicamente lo è.

Il fatto

Lei è un’adolescente, di origini straniere. Frequenta una classe di un istituto superiore della provincia di Massa-Carrara. Ha delle amiche-compagne di classe, sì, ma a scuola ci sono anche compagni che la prendono di mira. «C’erano situazioni di bullismo», si dice tra gli adulti, a poche ore dall’accaduto che ha sconvolto tutti: studenti, insegnanti, genitori. Non è un caso isolato, certo che no, episodi come questi non si verificano solo ai piedi delle Apuane, dove è andata bene. Ecco perché Il Tirreno ha chiesto un parere a una professionista che quotidianamente ascolta storie di giovani e di giovanissimi, le loro ansie e le loro paure: almeno di quelli che riescono ad alzare la mano e a chiedere aiuto.

La famiglia

Elisa Ratti è psicologa, iscritta all’Ordine degli psicologi della Toscana, e ha uno studio privato a Massa. A lei Il Tirreno chiede che cosa mai stia accadendo ai teenager e ai giovani, sia vittime che carnefici delle dinamiche relazionali con cui entrano in rapporto. Quel che vediamo «è l’effetto di ciò che sta succedendo alla Famiglia – risponde – più che ai giovani. È frutto di una genitorialità molto fragile che non riesce a reggere il confronto con i figli. Da me in studio vengono ragazzi che mi dicono che non raccontano certe cose ai genitori per paura di ferirli»; padri e madri, insomma, oggi, «non riescono a reggere la sofferenza dei figli che deriva dalla complessità del mondo, e in tutto questo “i social”, che hanno fatto sì che non si colga più la differenza tra mondo virtuale e mondo reale, non aiutano». «Occorrerebbe – riflette – trovare un punto di equilibrio tra il ruolo del sostegno che il genitore deve avere e l’autonomia delle scelte dei figli».

Il nodo aspettative

Non solo. «Viviamo in una società ricca di aspettative – dice la psicologa – che arrivano dal mondo esterno e dalla famiglia. Gli adolescenti e i giovani spesso sentono la pressione di queste grandi aspettative, tant’è che non si sentono legittimati a fallire. Non vivono il fallimento come una crescita, piuttosto lo vivono come “la fine”».

Ai padri e alle madri

«Tant’è che ai genitori dico: “Siate almeno voi fallibili”. Un buon genitore è un genitore che sbaglia, cosicché anche i figli si possano sentire autorizzati a farlo. Ed è un genitore con cui ti puoi scontrare. I ragazzi d’oggi, invece, non si scontrano più con padri e madri, che hanno paura dello scontro con i figli anche per i fatti che la cronaca racconta».

Le loro storie

«Quando arrivano in studio – aggiunge – portano con loro un disagio che è familiare; spesso hanno genitori iperprotettivi, controllanti che vivono i figli come un’estensione di loro stessi». «Hanno un grande carico di sofferenza e, come mi sono resa conto partecipando a un gruppo psicoterapeutico al Noa per giovani tra 18 e 25 anni, mostrano di avere malattie organiche (dalla sincope alle patologie gastro-intestinali) che sono il sintomo di un malessere psichico». «Hanno forme fortissime di ansia. O di ritiro sociale: e io non credo che sia stato l’effetto della pandemia da Covid, penso, piuttosto, che ci fossero questioni pre-esistenti».

Che fare?

«Io credo che sia un dovere sociale di noi adulti prenderci cura di tutta questa sofferenza: tra loro c’è chi se la porta dentro e in alcuni casi riesce a chiedere aiuto e chi agisce come un bullo, cosa che indica che c’è uno stato di disagio molto forte».
 

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