Ragazzina perseguitata dai bulli tenta il suicidio in classe: salvata da una compagna e da un professore
Succede in una scuola della provincia di Massa Carrara. La psicologa: «Genitori, siate fallibili e scontratevi con i vostri figli»
MASSA CARRARA. Chi condivideva con lei il tempo della scuola sa che era vittima di prese in giro e di provocazioni. Di compagni-bulli? «Sì», sostiene chi è informato dei fatti. Ieri l’altro potrebbe esserle caduta addosso la goccia che ha fatto traboccare il vaso; o forse no: forse venerdì è accaduto qualcosa che sarebbe potuto succedere – ormai – in un qualunque altro momento. La realtà è che lei ha tentato di togliersi la vita mentre era in classe. Non ci è riuscita, fortunatamente. Provvidenziali sono stati l’intervento di una compagna di classe e – in una manciata di secondi immediatamente successivi – la prontezza di riflessi e lo slancio del suo professore. È salva: almeno fisicamente lo è.
Il fatto
Lei è un’adolescente, di origini straniere. Frequenta una classe di un istituto superiore della provincia di Massa-Carrara. Ha delle amiche-compagne di classe, sì, ma a scuola ci sono anche compagni che la prendono di mira. «C’erano situazioni di bullismo», si dice tra gli adulti, a poche ore dall’accaduto che ha sconvolto tutti: studenti, insegnanti, genitori. Non è un caso isolato, certo che no, episodi come questi non si verificano solo ai piedi delle Apuane, dove è andata bene. Ecco perché Il Tirreno ha chiesto un parere a una professionista che quotidianamente ascolta storie di giovani e di giovanissimi, le loro ansie e le loro paure: almeno di quelli che riescono ad alzare la mano e a chiedere aiuto.
La famiglia
Elisa Ratti è psicologa, iscritta all’Ordine degli psicologi della Toscana, e ha uno studio privato a Massa. A lei Il Tirreno chiede che cosa mai stia accadendo ai teenager e ai giovani, sia vittime che carnefici delle dinamiche relazionali con cui entrano in rapporto. Quel che vediamo «è l’effetto di ciò che sta succedendo alla Famiglia – risponde – più che ai giovani. È frutto di una genitorialità molto fragile che non riesce a reggere il confronto con i figli. Da me in studio vengono ragazzi che mi dicono che non raccontano certe cose ai genitori per paura di ferirli»; padri e madri, insomma, oggi, «non riescono a reggere la sofferenza dei figli che deriva dalla complessità del mondo, e in tutto questo “i social”, che hanno fatto sì che non si colga più la differenza tra mondo virtuale e mondo reale, non aiutano». «Occorrerebbe – riflette – trovare un punto di equilibrio tra il ruolo del sostegno che il genitore deve avere e l’autonomia delle scelte dei figli».
Il nodo aspettative
Non solo. «Viviamo in una società ricca di aspettative – dice la psicologa – che arrivano dal mondo esterno e dalla famiglia. Gli adolescenti e i giovani spesso sentono la pressione di queste grandi aspettative, tant’è che non si sentono legittimati a fallire. Non vivono il fallimento come una crescita, piuttosto lo vivono come “la fine”».
Ai padri e alle madri
«Tant’è che ai genitori dico: “Siate almeno voi fallibili”. Un buon genitore è un genitore che sbaglia, cosicché anche i figli si possano sentire autorizzati a farlo. Ed è un genitore con cui ti puoi scontrare. I ragazzi d’oggi, invece, non si scontrano più con padri e madri, che hanno paura dello scontro con i figli anche per i fatti che la cronaca racconta».
Le loro storie
«Quando arrivano in studio – aggiunge – portano con loro un disagio che è familiare; spesso hanno genitori iperprotettivi, controllanti che vivono i figli come un’estensione di loro stessi». «Hanno un grande carico di sofferenza e, come mi sono resa conto partecipando a un gruppo psicoterapeutico al Noa per giovani tra 18 e 25 anni, mostrano di avere malattie organiche (dalla sincope alle patologie gastro-intestinali) che sono il sintomo di un malessere psichico». «Hanno forme fortissime di ansia. O di ritiro sociale: e io non credo che sia stato l’effetto della pandemia da Covid, penso, piuttosto, che ci fossero questioni pre-esistenti».
Che fare?
«Io credo che sia un dovere sociale di noi adulti prenderci cura di tutta questa sofferenza: tra loro c’è chi se la porta dentro e in alcuni casi riesce a chiedere aiuto e chi agisce come un bullo, cosa che indica che c’è uno stato di disagio molto forte».