Il Tirreno

Lucca

Errori in sanità

Operazione non necessaria, la paziente morì dopo un anno: ginecologo condannato a risarcire l’Asl

di Pietro Barghigiani
Operazione non necessaria, la paziente morì dopo un anno: ginecologo condannato a risarcire l’Asl

Lucca, l’Azienda sanitaria pagò i danni agli eredi, ora il medico dovrà versare 125mila euro. Per curare la donna sarebbe stata sufficiente una terapia ormonale

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LUCCA. Per quella ciste ovarica da rimuovere sarebbe bastata una cura ormonale. Al contrario, aver voluto ricorrere all’intervento chirurgico aveva esposto la paziente al rischio della vita. È quello che successe dopo un anno di calvario e autentico supplizio nel girovagare tra ospedali da tracheotomizzata nei mesi che anticiparono il decesso della donna avvenuto il 18 marzo 2013 a Careggi.

La condanna

Condannata in primo e secondo grado per l’imperizia e la negligenza di chi decise l’operazione, l’Asl pagò un milione e 255mila euro agli eredi della donna, una lucchese di 40 anni. Ora sul caso si pronuncia la Corte dei conti che condanna il ginecologo Ferdinando Pellegrini, 70 anni, nato a Viareggio e residente a Camaiore, a risarcire l’Asl con 125 mila euro. I giudici contabili hanno considerato il danno erariale pari al 10 per cento dell’importo contestato «in ragione del concorso causale di circostanze ulteriori rispetto alla condotta gravemente colposa» del medico ora in pensione.

La storia

La paziente si era rivolta al dottor Pellegrini, specialista in ostetricia e ginecologia, per una visita a ambulatoriale il 2 febbraio 2012. Le era stata diagnosticata una cisti ovarica (5 cm di diametro) e le era stato proposto l’intervento chirurgico di “laparoscopia operativa”, successivamente mutato in laparatomia in considerazione della storia clinica della paziente: era già stata sottoposta a tre interventi laparotomici. L’intervento venne eseguito il 21 marzo 2012. E dopo tre giorni, nonostante la contraria indicazione dei medici, la paziente aveva deciso in autonomia di lasciare l’ospedale, salvo poi tornare il 26 marzo a causa di forti dolori addominali. In occasione del secondo ricovero, dopo una serie di esami medici, nella serata dello stesso giorno era stata sottoposta a un nuovo intervento chirurgico in urgenza per una peritonite poi degenerata in perforazione del retto. Era rimasta in rianimazione all’ospedale di Lucca fino all’11 aprile 2012 quando poi venne a trasferita nel reparto di rianimazione dell’ospedale Careggi e e a seguire passò in diversi ospedali fino a quello in cui morì a Firenze un anno dopo l’operazione non necessaria.

La colpa grave

Sia i giudici civili (primo e secondo grado) che la Corte dei conti hanno concordano nel sottolineare che «non vi è prova della colpa grave nell’esecuzione dell’intervento chirurgico di rimozione della cisti e nella conseguente lesione del retto».

Quello che le sentenze contestano al ginecologo è la cattiva pratica medica «individuata nella esecuzione di un intervento non consigliabile; nella perforazione accidentale del retto e nel ritardo con il quale i sanitari intervennero sulla peritonite in atto». E ancora: «La scelta di sottoporre la paziente all’intervento fu imperita e imprudente per la presenza di aderenze legate ai precedenti interventi subiti dalla paziente, che avrebbero consigliato di trattare la cisti, trattandosi di formazione benigna, non chirurgicamente».

Lucida agonia

Una vicenda straziante per genitori, fratello e compagno della vittima. Tanto che nella sentenza della Corte d’Appello i giudici scrissero: «Può ben dirsi che l’espressione “lucida agonia” coniata da una parte della giurisprudenza per descrivere il danno terminale sia particolarmente calzante con riguardo alla dolorosa vicenda che vedeva coinvolta la paziente».

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