Tragedia dei migranti a Livorno, la tratta umana per la Tunisia alternativa più costosa a Lampedusa
Cinque anni fa, sulla “Maria Grazia Onorato” della Moby, salvati cinque profughi. Molti i precedenti in porto
LIVORNO. Nascondersi in un container per cercare di raggiungere l’Italia. Rischiando la vita, il rimpatrio o l’arresto. Le rotte marittime fra l’Africa e l’Italia, come la Radès-Livorno, possono trasformarsi in tratte di esseri umani. Con la complicità di chi al momento non può essere chiarito e lo stabiliranno, nel caso, gli inquirenti chiamati a capire cosa c’è stato dietro il viaggio che ha portato alla morte dei due ventenni recuperati il 4 novembre fra la Darsena Pisa e la Torre del Marzocco dopo il tentativo di fuga per evitare, appunto, il rimpatrio. La “Stena Shipping” – ro-ro cargo noleggiato dalla svedese “Stena Line” alla tunisina CoTuNav e il cui equipaggio è interamente danese – mercoledì scorso era partita dal porto di Radès, vicino a Tunisi. Prima tappa Livorno, dove sono stati trovati i due migranti nascosti in un contenitore, poi Genova e il ritorno in Nordafrica. Il tragitto dal porto tunisino a Livorno sarebbe durato all’incirca 24 ore, un tempo che rappresenta evidentemente un rischio accettabile per chi è disperato e in cerca di un futuro migliore in Europa. Meno insidioso del viaggio su un barcone da Sfax verso Lampedusa, spesso teatro di naufragio, e quindi anche assai più caro economicamente parlando.
Il salvataggio del 2020
Dati ufficiali sui rimpatri dall’area doganale di Livorno non vengono forniti dalle autorità, ma ufficiosamente si attestano sui 20 l’anno. Che su queste tratte viaggino irregolarmente nei container anche le persone la storia lo racconta. Un precedente risale alla fine di luglio del 2020, quando sulla “Maria Grazia Onorato” della Moby i marittimi scoprono cinque migranti – quattro sudanesi e un egiziano – in fuga dal terminal Ltm. In quel caso non erano ancora stati identificati, visto che il traghetto aveva appena ormeggiato. Per fortuna furono salvati: «Ora vengano a “pigliatti”, stai calmo», le parole di uno dei marinai mentre un profugo si regge ormai senza più forze a una cima.
Gli altri precedenti
Nella primavera 2002 in quattro rischiano di morire asfissiati in Darsena Toscana in un contenitore arrivato in treno dal Nord Italia. Poco prima del Natale precedente quattro rumeni sotto i 40 anni vengono trovati senza vita in un container di piastrelle partito da Reggio Emilia: li ha asfissiati l’antiparassitario spruzzato per motivi igienici. Non è stata l’unica volta: nel maggio ’99 tre cittadini nordafricani fra 20 e 30 anni muoiono in un container diretto da Livorno a Vancouver. In quello stesso anno le autorità canadesi scoprono 35 persone che stavano tentando di entrare irregolarmente nel loro Paese via mare: 27 di essi provenivano dal porto di Livorno. Ma la lista dei casi potrebbe essere lunghissima: ad esempio, raccontando dei quattro moldavi che nel dicembre 2001 vengono salvati dagli agenti della polmare. Poche settimane prima un altro gruppetto dall’Est viene scoperto appena prima di morire per disidratazione: avevano fra 20 e 22 anni, un po’ di cibo ma soprattutto un trapano per fare i buchi nella lamiera dello “scatolone” da 20 piedi se avessero sentito mancare l’aria. E in precedenza la stessa sorte era toccata a sette dominicani fra 14 e 30 anni che in un porto dei Caraibi si erano travestiti da portuali per infilarsi su una nave che fosse diretta negli Stati Uniti.
