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Grosseto, violenza in ospedale: parla la Oss picchiata per una pizza – «Continuava a colpire in testa, pensavo di morire»

di Pierluigi Sposato

	L'ospedale di Grosseto
L'ospedale di Grosseto

L’episodio risale al gennaio 2022: a processo due persone di Castel del Piano che erano risultati positivi al Covid

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«In quei momenti ho pensato che mi potesse ammazzare. Mi aveva dato 13-14 colpi alla testa, o con un flacone o con un termometro digitale, io non ho visto, ero finita a terra». Alessandra - il nome è di fantasia - racconta quei momenti drammatici avvenuti nei locali del pronto soccorso Covid ad alta complessità, a Grosseto: sono passati quasi quattro anni ma sono scene che non può dimenticare.

Il profilo di Alessandra

Alessandra, cinquantenne, è un’operatrice sociosanitaria che lavora da 15 anni all’Asl Toscana sud est, dopo una decina di anni in cui aveva svolto servizio nelle case di riposo. Racconta le fasi salienti di un episodio di aggressione con minacce per il quale adesso è aperto un processo con due imputati davanti al giudice Marco Bilisari, una 41enne e un 46enne, assistiti dagli avvocati Marco Fanti e Andrea Strati.

Le testimonianze

Aveva già testimoniato, lunedì 3 novembre era di nuovo presente, convocata per errore insieme ad altri uomini e donne, il sostituto commissario che aveva seguito le indagini, una dipendente, una paziente. Devono ancora essere sentiti gli agenti della Volante della polizia di stato e un’altra paziente che aveva assistito ai fatti, se ne riparlerà a marzo.

La ricostruzione del 13 gennaio 2022

Le parole di Alessandra erano state ascoltate nell’udienza di maggio. Adesso, fuori dall’aula, le ripete e ricostruisce quel pomeriggio del 13 gennaio 2022: «Loro due arrivavano da Castel del Piano, erano risultati positivi ed erano stati portati al pronto soccorso del Misericordia, dove era stata aperta l’area filtro, quella della tenda esterna. Non sarebbero dovuti uscire, non avevano un’abitazione dove andare. Al pronto soccorso erano stati sottoposti, come tutti gli altri presenti, al consueto iter, con le liste di attesa a seconda dei parametri riscontrati. Si erano innervositi».

La tensione per la pizza

Erano più o meno le 16,30: «Noi non mangiamo dalle 9», avevano fatto presente. «Qualcosa avrebbero avuto, come tutti gli altri pazienti - è ancora il racconto di Alessandra - li avevamo rassicurati che del cibo sarebbe arrivato a breve, erano stati invitati a calmarsi. Lei aveva iniziato a dire che doveva uscire da lì, perché aveva ordinato una pizza da asporto e il raider era all’esterno del pronto soccorso, ma lontano dall’area della tenda. Non poteva uscire, come non poteva uscire nessuno dei pazienti a causa della presenza dell’emergenza sanitaria. Le avevo detto che, se aveva un po’ di pazienza, sarei andata io a prendere la pizza. Ma a quel punto lei si era diretta verso un’area che a lei era vietata. Le avevo detto “non ci puoi andare” e dicendo così le avevo poggiato una mano sul braccio. A quel punto si era scatenata, mi aveva dato una manata, mi aveva fatto saltare la mascherina. Avevo ricevuto 13-14 colpi in testa, sferrati con un oggetto che non ho visto, forse dei flaconi, forse un termometro digitale. Ho avuto paura di morire».

L’incitamento alla violenza

Questo la donna. E lui? «Lui la incitava, diceva "ammazzala". Poi qualcuno mi ha soccorso. Sono stata portata a fare la Tac, fortunatamente avevo soltanto delle contusioni, ma avevo un problema all’anca perché ero caduta».

Le conseguenze fisiche

Cinque i giorni di guarigione, per un trauma cranico non commotivo e qualche abrasione. L’uomo avrebbe afferrato un monitor e l’avrebbe lanciato sul ripiano del bancone, anche la donna sarebbe fatto un gesto simile.

I commenti sui social

Sui social c’erano stati dei commenti alla vicenda, in uno di questi l’oss era stata invitata a «guardarsi sempre alle spalle, io difendo le ragazze buone e fragili come la ragazza che ti ha picchiato, che ha fatto pure bene», con la firma di un uomo che non risultava ricoverato né residente a Grosseto.

La scelta di non costituirsi parte civile

Lei non si è costituita parte civile? «No, non mi interessa - risponde Alessandra - Però non è possibile lavorare con questa scure sulla testa, con questa incertezza. Tutti, e intendo i pazienti ma anche i dipendenti, devono sentirsi al sicuro in ospedale».

Il cambio di reparto

Ha continuato a lavorare lì? «No, non mi sentivo più sicura. Mi ero sentita sola, senza appoggio, uno stress continuo. Ho cambiato reparto e mi sono re-innamorata del mio lavoro».

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