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L'indagine

Lusso e sfruttamento in Toscana, il caso Tod’s e l’inchiesta milanese (che si allarga)

di Libero Red Dolce

	Lavoratori del tessile di Prato durante una protesta
Lavoratori del tessile di Prato durante una protesta

Le indagini della procura lombarda arrivano a toccare tre stabilimenti in regione. Tra Scandicci e Prato individuati casi di sub-appalto fino al settimo livello

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Quello tra Made in Italy, sfruttamento e immigrazione è un intreccio produttivo e sociale che, in diverse situazioni, è alla base del luccicante sistema della moda. Lo denunciano da anni i sindacati, lo hanno certificato le recenti indagini della magistratura di Prato e di quella di Milano. Proprio un’inchiesta condotta da uno dei pm della procura meneghina, Paolo Storari, ha riacceso i riflettori sul distretto della moda toscano, dopo una serie di ispezioni a metà novembre in tre laboratori fornitori di secondo livello di Loipell srl per Tod’s, la società leader nel campo della pelletteria di proprietà dell’ex presidente della Fiorentina Diego Della Valle. In questi tre siti produttivi – Pelletteria Antonio di Wu Xianxiang e Pelletteria JM di Fu Fangjun a Scandicci (Firenze) , e Bag Group srls a Carmignano (Prato) — i carabinieri hanno riscontrato nuovamente gravi irregolarità: oltre il 10% di lavoratori in nero, macchinari senza dispositivi di sicurezza, scarse condizioni igieniche, assenza di formazione, turni di 12 ore con pause minime, ambienti insalubri, materiali chimici e infiammabili lasciati incustoditi, vie di fuga ostruite e spazi produttivi usati come mense di fortuna.

È il classico schema che contraddistingue il cosiddetto “distretto parallelo” della moda cinese. Un sistema di appalti e forniture che partono dalle esigenze dei grandi marchi – negli opifici toscani ispezionati dai carabinieri si è arrivati a individuare fino a sette livelli di sub-appalti – e arrivano al grado zero della produzione tessile, con centinaia di lavoratori costretti a lavorare in condizioni che, con un accento colonialista, continuiamo a definire da “terzo mondo”. E che invece sono sempre più “made in Italy”.

Lusso e sfruttamento

Quel che colpisce con maggiore intensità è la sproporzione tra retribuzioni dei lavoratori e costo di produzione della merce, da un lato, e di vendita al dettaglio degli stessi prodotti, dall’altro. Secondo quanto spiega la procura, nel corso delle indagini nei siti produttivi toscani, sono state sequestrate borse dei marchi Madbag, Zegna, Saint Laurent, Cuoieria Fiorentina e Prada. Articoli di lusso prodotti con poche decine di euro e che poi vengono venduti al dettaglio con prezzi che arrivano a superare il migliaio di euro. Le aziende subappaltanti, chiamate in causa da alcune intermediarie che producono per i grandi marchi, riuscirebbero a comprimere i costi di produzione tagliando la variabile più debole: “il capitale umano”.

Operai e migrazione

Si è detto di made in Italy e condizioni degli operai, rimane l’ultimo vertice del triangolo: i lavoratori migranti. Secondo quanto dichiarato ai carabinieri che hanno condotto le indagini, un operaio cinese di cinquant’anni, impiegato in nero a Carmignano, racconta: «Iniziamo la mattina alle 8 e finiamo alle 20, circa 12 ore al giorno con una pausa di 10 minuti, il tempo necessario per mangiare un panino. La mia mansione è incollare i pezzi per poi farli passare nel forno». Alla domanda sullo stipendio risponde di non saperlo ancora con precisione: «Sui 1. 300 euro».

Un giovane pakistano di 24 anni, anche lui sentito dai carabinieri, descrive invece il suo percorso per arrivare in Italia: «Sono arrivato nell’ottobre 2022 a Trieste, a piedi per la maggior parte della tratta passando per Iran, Turchia, Grecia, Croazia, Bosnia, Slovenia. Ho pagato 4-5mila euro a rate». Si tratta, nell’ultima parte, della cosiddetta rotta balcanica, nella quale si imbarcano migliaia di persone pagando prezzi irragionevoli per entrare in Europa, per poi trovarsi invischiati in situazioni di sfruttamento del lavoro nei capannoni periferici dei distretti produttivi italiani. Non solo Toscana, ma anche Lombardia e in Emilia-Romagna.

La risposta di Tod’s

Il 20 novembre, non a caso, il consiglio di amministrazione di Tod’s ha deliberato «l’adozione di una nuova release del modello organizzativo», «un aggiornamento dei codice etico, del codice di condotta dei fornitori, e della procedura laboratori/terzisti», oltre «all’istituzione di una nuova funzione aziendale di Technical Compliance per assicurare la piena aderenza ai requisiti normativi, etici e ambientali» e «l’avvio di un nuovo ciclo di formazione obbligatoria per tutto il personale da gennaio 2026». Nelle intenzioni si tratterebbe, in sostanza, di un inasprimento dei controlli per impedire che lo sfruttamento lavorativo continui a radicarsi, come spesso accade, nell’ultimo tratto della filiera.

Queste misure sono state utilizzate dall’azienda di Della Valle, mercoledì in Tribunale a Milano, per chiedere e ottenere dal giudice per le indagini preliminari una proroga fino al 23 febbraio. Il gip Santoro avrebbe infatti dovuto pronunciarsi sulla richiesta del pubblico ministero Storari di vietare a Tod’s la pubblicità dei propri prodotti, al fine di contrastare — aveva sostenuto il pm — «la cecità intenzionale di Tod’s» rispetto allo «sfruttamento di manodopera in stato di bisogno» che aveva coinvolto 53 lavoratori cinesi in sei opifici di fornitori e subfornitori ispezionati dai carabinieri tra il 15 ottobre 2024 e il 27 maggio 2025 tra Milano, Vigevano e Macerata.

Quell’iniziativa aveva provocato la reazione di Della Valle: «Noi non siamo quelle porcheriole, mettere in discussione con leggerezza il made in Italy crea danni enormi, questa mancanza di rispetto per la nostra reputazione è una vergogna – aveva detto il patron di Tod’s – Gente come il procuratore Paolo Storari deve pensare che non si può mettere alla berlina la reputazione di persone come noi».

Un fenomeno nazionale

Da Versace a Gucci, da Prada a Dolce & Gabbana: sono tredici i marchi del lusso finiti nelle nuove indagini della Procura di Milano sul caporalato nelle filiere del made in Italy. Il pm Paolo Storari, con i carabinieri del Nucleo ispettorato del lavoro, ha notificato ordini di consegna documentale alle case di moda emerse nei fascicoli sugli opifici cinesi clandestini. I brand coinvolti includono Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating. La Procura indica fornitori critici, lavoratori sfruttati e articoli dei marchi trovati negli opifici. Gli inquirenti chiedono inoltre ai brand di fornire, per ora volontariamente, modelli organizzativi e audit interni, in una procedura “light” che permette alle aziende di intervenire sulla filiera ed evitare possibili richieste di amministrazione giudiziaria.


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