Morto per la sala operatoria non pronta, l’Asl condannata: 600mila euro ai familiari. Il caso in Toscana
Il paziente ha atteso per due ore un secondo intervento chirurgico correttivo, il giudice: «Ingiustificabile quello che è avvenuto»
PISTOIA. Una prima operazione alla vescica su un paziente con diversi problemi di salute, ma non in imminente pericolo di vita. E poi l’attesa, di due ore, a causa della mancata disponibilità della sala operatoria per un secondo intervento correttivo: quando i chirurghi se ne occuparono la situazione era ormai disperata e per l’anziano professionista non ci fu niente da fare. Quella che per i familiari fu una negligenza della struttura sanitaria, ora diventa una condanna dell’Asl Toscana Centro a risarcire i tre figli e i quattro nipoti dell’uomo deceduto nell’agosto 2015 al San Jacopo di Pistoia. Un conto che, calcolato sulla perdita di chance di sopravvivenza quantificata nel 55 per cento, supera i 600mila euro.
Gli orari
Per la famiglia era chiaro fin da subito che si era verificato colpevolmente un «ritardo nell’esecuzione dell’operazione – era la loro tesi – tanto che si era dovuto sospendere l’intervento in corso sul paziente alle 2,40 per poi riprenderlo alle 4,25, dopo che il paziente, con un sanguinamento incontrollato in corso, era rimasto in condizioni di mantenimento minimo di vitalità per quasi due ore». Per circa due ore il paziente sotto anestesia generale era rimasto con la vescica doppiamente perforata e, soprattutto, con un sanguinamento dovuto dall’incisione del coagulo e della massa (probabilmente di natura neoplastica). Tutto perché non era agibile la sala operatoria.
I consulenti
Secondo i consulenti tecnici nominati dal giudice Matteo Marini «se – come è vero – la morte è stata ricondotta a uno choc emorragico non trattato, consegue che la colpa della convenuta (l’Asl, ndr) deve essere ricondotta proprio al ritardo con cui è stato eseguito l’intervento emendativo che ha definitivamente compromesso le condizioni del paziente». Al quesito se l’intervento chirurgico effettuato prima avrebbe potuto dare al paziente la possibilità di sopravvivenza, l’équipe dei consulti tecnici al completo ha scritto: «L’anestesista ha precisato che “nel lasso di tempo di attesa, a suo parere clinicamente ingiustificata, fra i due interventi la notte fra il 18 e il 19 agosto 2015 si è assistito ad un inequivocabile peggioramento a causa post emorragica non corretta».
Il parere
Il parere finale del collegio peritale è lapidario: «Di certo – si legge – si può affermare e su questo punto esiste una un’uniformità assoluta di valutazione da parte di tutti i consulenti di ufficio che la tipologia normativa, organizzativa e protocollare esistente nell’ospedale San Jacopo non ha permesso l’esecuzione di un intervento chirurgico in “emergenza” in tempi congrui e, pertanto, ciò può aver ridotto nel paziente le possibilità di superare l’intervento». Non è stata la colpa del singolo a finire in via primaria sotto la lente del giudice. È il sistema che in questo caso non ha funzionato. La bacchettata del Tribunale civile di Pistoia è eloquente: «In questa situazione – si legge nella sentenza – è ingiustificabile (e, peraltro, nessun elemento sul punto è stato addotto dalla convenuta Asl) che il paziente abbia dovuto attendere circa due ore per essere sottoposto al secondo intervento quando ormai le sue speranze di salvarsi erano definitivamente scemate. Ciò integra pienamente la colpa di organizzazione in capo ai responsabili dell’ospedale che hanno omesso di predisporre in tempi il più possibili ristretti una nuova area operatoria in cui al povero paziente sarebbe stato possibile cercare di arrestare l’emorragia prima che le sue condizioni diventassero disperate».
Quel ritardo nel secondo intervento perché non c’erano sale operatorie disponibili alla fine ha contribuito a segnare il destino del professionista.
© RIPRODUZIONE RISERVATA