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Calcio: i personaggi

Tognetti e Vigiani, i campioni della Fiorentina orgoglio di Montelupo: la Coppa Italia viola è a chilometro zero

di Francesca Bandinelli

	Da sinistra Laerte Tognetti e Lorenzo Vigiani
Da sinistra Laerte Tognetti e Lorenzo Vigiani

Entrambi hanno alzato al cielo il trofeo conquistato al termine della finale contro il Torino

06 aprile 2024
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Sono il simbolo della meglio gioventù, quella dei ragazzini che rincorrono palloni e sogni a costo di sacrifici e sudore, che masticano pane e umiltà e che non dimenticano mai le proprie radici.

Campioni a chilometro zero

Laerte Tognetti, il portiere della Fiorentina Primavera che nella finale di Coppa Italia – nella serata di giovedì 4 aprile di categoria vinta contro il Torino ha acceso i riflettori sulle sue qualità tecniche prima sbarrando la strada agli assalti del Torino e poi ipnotizzando, dal dischetto, Dellavalle, e Lorenzo Vigiani sono la punta dell’iceberg di un settore giovanile costruito all’insegna del “Made in Toscana”, forse anche del chilometro zero. Laerte, al primo colpo, si è cucito il gagliardetto sul petto, Lorenzo invece ha “vendicato” il ko della passata stagione, sempre in finale, ma contro la Roma. Dopo essersi presi il presente, entrambi puntano a far proprio il futuro. Negli stessi minuti in cui lui e Lorenzo Vigiani, figlio di Luca, ex calciatore anche di Pistoiese e Livorno, stavano trascinando la Fiorentina primavera al successo, a Montelupo gli occhi erano tutti incollati davanti alla tv. Sì, perché i primi passi su un rettangolo verde, entrambi li hanno compiuti lì, a pochi chilometri da Empoli.

Le storie

Laerte ha giocato su quel campo fino all’età di 12 anni, quando gli scout viola lo hanno notato. Aveva cominciato, nei pulcini, come giocatore di movimento, poi però fu Tommaso Sabatini, che lo ha seguito fino agli Esordienti, prima del passaggio a Firenze, a intravedere certe qualità che lo avrebbero potuto far primeggiare anche tra i pali. «Fin da quando giocava nella nostra scuola calcio, era un bambino fisicamente strutturato, reattivo, dotato di una buona tecnica con la palla tra i piedi. Era più alto rispetto agli altri ed è per questo che gli proposi questa possibilità. Mi resi conto che avrebbe potuto interpretare bene anche questa posizione. Da piccolini, i bimbi non hanno un ruolo ben definito, ma la propensione, difensiva o offensiva, la si intuisce subito. Fu ben accolta sia da lui che dalla sua famiglia, che ne ha sempre seguito il percorso. Quale la sua caratteristica principale? Prima di tutto l’umiltà e la disponibilità verso il prossimo, che poi sono anche le qualità di Vigiani. L’esser figlio d’arte non è stato in alcun modo motivo di pressione». Laerte Tognetti, corteggiato dal Grosseto giusto la scorsa estate ma rimasto a farsi le ossa a Firenze per cercare di farsi costruttore di sogni, su quel campo in cui ci è cresciuto, quando può ci torna sempre. Va a vedere gli amici giocare o anche la prima squadra, quando gli impegni sportivi e scolastici glielo consentono. L’abnegazione, così come la capacità di tenere insieme pallone e libri senza trascurare né l’uno né gli altri sono state da sempre alcune delle qualità più evidenti. «Il fatto di essere rimasto nel vivaio della Fiorentina così a lungo è indice di uno spessore tecnico importante - continua Sabatini -. L’ho sempre seguito e non sono sorpreso di quanto è riuscito a fare. Adesso è gratificante osservare il tutto dal punto di vista privilegiato di chi lo ha visto crescere i progressi fatti e i frutti raccolti. Questo titolo gli resterà impresso per sempre nella pelle e nell’anima, senza distrarlo dall’obiettivo, ovvero migliorare ogni giorno. L’altro elemento che lo caratterizza, poi, è lo straordinario equilibrio: sono certo che i tanti complimenti che gli sono arrivati e l’essere finito sotto ai riflettori della notorietà non ne cambieranno né l’indole né l’approccio nei confronti del calcio e della vita». Vietato, però, azzardare paragoni o tanto meno accostare alla sua carriera altre storie e altre vite, tipo quella di Provedel, portiere della Lazio che il suo passato da attaccante ha visto bene di rispolverarlo in Champions, segnando all’ultimo tuffo contro l’Atletico Madrid di Simeone. A Montelupo si resta sempre coi piedi per terra. «La soddisfazione di aver visto sollevare quella coppa a due ragazzi cresciuti nel nostro vivaio è enorme - conclude -: entrambi sono motivo di orgoglio, vincere titoli non è da tutti».  l

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