La tragedia
Quattro donne, un nuovo inizio: come uscire dalla spirale del debito e tornare a vivere – Cos’è l’esdebitazione e come funziona
Pistoia, tra aziende colate a picco, violenze e crisi economiche, poche persone seguono la via legale per ricominciare. Ma per chi è in buona fede c’è un meccanismo di liberazione civile che restituisce dignità e una seconda possibilità
PISTOIA. C’è una pasticciera che per mesi ha sfamato i figli con gli scarti del suo laboratorio, un’estetista finita in ospedale che ha scoperto il rosso in banca e un bar che da promessa di riscatto è diventato la scena di un matrimonio violento. Poi una madre e un figlio travolti, come tanti, dalla pandemia. Quattro volti, quattro vite finite sott’acqua, che a Pistoia hanno trovato una boccata d’aria grazie a una legge che permette – a chi non ce la fa più – l’esdebitazione. Tradotto: tagliare le catene del debito e tornare a respirare. Nel mare magnum del sovraindebitamento, dove le difficoltà economiche si intrecciano con amori sbagliati, malattie e pandemie, emergono anche qui storie di sopravvivenza quotidiana. Dietro la parola fredda “procedura”, ci sono donne che hanno stretto i denti, madri sole, piccole imprenditrici travolte da un’economia che si è ristretta più in fretta del loro coraggio.
I numeri della crisi
Eppure, guardando i numeri, la possibilità di rinascere senza più la palude dei debiti resta un sentiero quasi deserto. Alla Camera di Commercio di Pistoia e Prato risultano iscritte 2.348 aziende inattive: imprese che stanno affondando o si sono già arrese. Di queste, 1.015 sono in fase di scioglimento o liquidazione, e 516 sotto procedura concorsuale. Un quadro che racconta un’economia in apnea, fatta di partite Iva sfinite, negozi chiusi, laboratori che non riapriranno. Eppure, nel 2025, sul territorio provinciale si contano appena 24 procedure di liquidazione controllata. È il segno che la legge che permette di “ripulire la lavagna” resta poco conosciuta e ancor meno praticata. Forse per paura, forse per pudore, forse per la difficoltà di ammettere che da soli non si riesce più.
La pasticciera sola con 3 bambini
La prima storia è quella di una donna che aveva trasformato la passione per i dolci in un mestiere. Una piccola pasticceria nel centro di Pistoia, tre figli e un marito che un giorno se n’è andato lasciandole il banco, il forno e i conti da pagare. Per mesi ha tirato avanti come poteva, nutrendo i bambini con i cornetti del giorno prima e la crema rimasta nelle sac à poche. Alla fine, quando la somma dei debiti ha superato i 135 mila euro, ha chiesto aiuto. Il tribunale, riconoscendo la sua condizione di madre sola e unica fonte di sostentamento per i figli, ha approvato un piano che le ha consentito di saldare tutto con 8 mila euro. Oggi ha chiuso la vecchia attività, ma non la dignità. «È come uscire da una stanza dove mancava l’aria».
L'estetista e il compagno “infedele”
C’è poi la vicenda di una trentenne, estetista da sempre. Dopo anni da dipendente, decide di aprire un salone tutto suo insieme al fidanzato. Lui si occupa della parte amministrativa, tiene i rapporti con fornitori e banche, lei dei trattamenti. All’inizio il negozio va bene, fino a quando la schiena le cede e un’operazione la costringe a fermarsi. Dal letto d’ospedale scopre che il suo compagno, nel frattempo, ha prosciugato i conti: tra banche, fornitori e fisco, il buco è enorme. Quando la mette alle strette, lui reagisce con la violenza. Botte e aggressione, lei scopre perfino che lui gettava tutti i guadagni al gioco d‘azzardo. Lo lascia, ma resta sola con 112 mila euro di debiti. Grazie alla procedura, riesce a ridurli a 18.500, sufficiente per chiudere i conti e aprirne di nuovi. Oggi lavora altrove, “lontano dai debiti e da lui”.
La barista e i soldi spariti
La terza storia somiglia a molte altre. Una donna che nel 1998 rileva un bar insieme al fidanzato, poi marito. Per quindici anni tutto funziona: clienti affezionati, incassi regolari, una vita costruita dietro il bancone. Finché arriva una gravidanza. Lei resta dietro il bancone quasi fino alla nascita del figlio, poi deve occuparsi di lui, e l’equilibrio si spezza. I soldi della cassa iniziano a sparire, i fornitori non vengono più pagati, la tensione sale. Quando lei scopre il buco e chiede spiegazioni, lui risponde con i pugni. Da lì la separazione, il divorzio e la montagna di 98 mila euro di debiti. Anche in questo caso, la giustizia riconosce la buona fede e riduce tutto a 24 mila euro. Oggi quella donna ha trovato un nuovo posto di lavoro. Ogni tanto passa davanti al bar, che ha un altro nome e altri proprietari. “Ho pagato per riprendermi la mia libertà”, dice.
La ristoratrice e la pandemia
Infine, la storia di madre e figlio che, nel 2015, aprono un ristorante. Locale nuovo, tavoli sempre pieni, recensioni entusiaste. Poi arriva la pandemia. Due anni di chiusure, dipendenti da mantenere, finanziamenti da restituire. Quando riaprono, i conti sono già compromessi: 450 mila euro di debito. La madre vende la casa, lei e il figlio trovano un posto da dipendenti in un’altra città. Insieme decidono di aderire alla procedura che consente di definire il dovuto, offrendo tutto ciò che hanno. Alla fine, con 130 mila euro, riescono a chiudere il capitolo.
Le storie cambiano i volti, ma la trama resta la stessa: piccoli imprenditori travolti da un’economia che non perdona e da un sistema che spesso lascia soli i più fragili. La legge che consente di liberarsi dai debiti – una sorta di “seconda nascita civile” – è un’àncora poco afferrata. Gli addetti agli sportelli parlano di vergogna, di paura di essere giudicati, di chi preferisce sparire piuttosto che dichiararsi sconfitto. Ora il racconto di chi ce l’ha fatta si diffonde piano. Non sono storie di successo, ma di sopravvivenza. Di persone che hanno toccato il fondo e, dopo anni, hanno smesso di sentirsi in colpa. Hanno firmato e, nel silenzio di una stanza del tribunale, si sono rimesse in piedi. Non per cancellare il passato, ma per poter finalmente scrivere un altro futuro.
