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Pd, dopo il voto l’autoanalisi del partito: convocata l’assemblea comunale

di Ivan Zambelli
Pd, dopo il voto l’autoanalisi del partito: convocata l’assemblea comunale

Santi: «Giusto iniziare una discussione». Bugliani: «Ricci non deve dimettersi». Nardi: «Senza politica, è una bocciofila». Volpi: «Siamo come la Juve, con tanti anti»

07 giugno 2023
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MASSA. Metabolizzata la sconfitta elettorale 29 maggio, è giunto il momento per il Pd di riunirsi in assise, per fare il punto su quello che non ha funzionato ma anche per avviare -almeno questo l’auspicio comune- un ragionamento sulla ricostruzione del partito. L’occasione sarà l’assemblea comunale del 15 giugno. «Un’occasione per fare l’analisi del voto», ha fatto sapere la presidente Giovanna Santi, «con l’organo più allargato che c’è. All’ordine del giorno c’è la relazione del segretario e l’analisi del voto. Poi come si strutturerà la discussione vedremo al momento. Non ci siamo ancora visti, il partito ad oggi è muto ma è giunto il momento di iniziare una discussione».

«La più strutturata e larga possibile», continua il consigliere regionale Giacomo Bugliani. Dal suo punto di vista, Enzo Ricci ha fatto un lavoro importante: «Ha avuto una buona tenuta tra i cittadini, non abbastanza per vincere ma il 46% certifica la qualità della candidatura e il suo carattere inclusivo». Sulle decisioni che prenderà in seguito, se rimettere il mandato da segretario, «ci atterremo alle sue scelte, ma da un punto di vista politico è una figura preziosa e non vedo la necessità di chiederne un passo indietro. Se ci sono ragioni personali è un conto, ma se sono politiche invece non ci sono. Il centrosinistra, lo dico chiaramente, ha perso un po’ovunque. Nonostante questo Ricci ha fatto un buon lavoro di collante, aprendo il Pd a persone che prima non c’erano. Per cui penso che abbia tutti i titoli per restare un punto di riferimento».

Non è però solo una questione di nomi. Come dice Martina Nardi, ex deputata oggi “semplice” militante, «credo che il partito debba ricominciare a fare politica, cosa che ha smesso di fare per troppo tempo e che abbiamo pagato in campagna elettorale. Un partito deve fare politica, altrimenti è una bocciofila: deve analizzare i problemi e dare soluzioni innovative ed intelligenti, essere presente nel territorio, riunendosi con una vita democratica e attiva». Tutte cose venute meno negli anni. «Siamo la più grande forza politica, abbiamo il dovere di impegnarci per far partecipare maggiormente i nostri iscritti, e dall’altra abbiamo bisogno di un gruppo dirigente che sappia costruire un’alternativa, ma non una volta ogni tanto». Ad oggi, prosegue, «credo che nonostante i nostri sforzi non siamo riusciti a vincere perché i cittadini non ci hanno reputato credibili rispetto ad altri. Questo è un grande tema, che riguarda tutti. Non c’è più bisogno delle guerre». Proprio il tema della credibilità e del confronto ritorna tra le righe nel ragionamento di Alessandro Volpi, ex sindaco e oggi anche lui “semplice” militante. Volpi sposta la riflessione su un piano generale e di come viene visto il partito. «Il Pd è una condizione per certi versi necessaria, ma in alcun modo sufficiente, perché se è vero che riscuote un certo consenso, allo stesso tempo sconta una certa resistenza», tanto che Volpi, prendendo in prestito un accostamento letto su Il Manifesto, paragona il partito alla Juventus; a fronte di molti sostenitori altrettanti se non di più sono gli anti-juventini. «Di questo dobbiamo farcene carico, capire come mai esiste questa forte resistenza». Perché a Siena, Pisa o Massa, «dove il risultato di Persiani è importante e non va negato», tanti sono i punti comuni: «Il ballottaggio più che un pro o contro Persiani è stato un pro e contro il Pd. Ognuno ha le sue responsabilità e deve interrogarsi. Il Pd continua ad avere uno zoccolo duraturo nel tempo, ma non consente di vincere in sistemi maggioritari, favorendo sempre più il successo della destra perché la costruzione di alternative a prescindere dal Partito democratico è faticosa». Per cui, «mi auguro che giovedì non ci sia una redde rationem, ma l’avvio di una prospettiva nuova, che si ponga come nodo decisivo il superamento di questa profonda resistenza».
 

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