Il Tirreno

Livorno

Lettera aperta

Libertà, giustizia, speranza: la lettera dei detenuti-studenti di Livorno

Libertà, giustizia, speranza: la lettera dei detenuti-studenti di Livorno

Scritta in occasione del Giubileo dei carcerati, da chi frequenta le classi di religione 3-4-5 indirizzo socio-sanitario dell’Istituto Vespucci-Colombo

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LIVORNO  Le classi della sezione carceraria dell’istituto Vespucci Colombo e la lettera, in occasione del Giubileo dei detenuti, insieme al collega di Irc. E’ ad opera dei detenuti del carcere di Livorno classi di religione 3-4-5 indirizzo socio-sanitario dell’Istituto Vespucci-Colombo.

“Ero in carcere e siete venuti a trovarmi” (Mt 25,36)
Lettera dalla casa circondariale “Le Sughere” alla città e alla Diocesi di Livorno per l’anno giubilare 2025. Le parole di Gesù in Mt 25,36 invitano a farsi prossimo di quella categoria di persone sofferente ed emarginata che si trova in carcere. Non potendo aprire le porte materiali, possiamo però ascoltarli e
condividere alcune riflessioni sul nostro vivere cristiano. La porta del giubileo, presente in carcere, è infatti una porta che ci unisce nella fede e ci rende parte di un’unica comunità. Abbandonando ogni pregiudizio che avvolge questo ambiente e consapevoli che le persone in esso, seppur colpevoli di reato, non sono mai dimenticate da Dio, siamo lieti, in occasione della giornata giubilare dedicata ai carcerati il 14 dicembre, di divulgare questa lettera ad opera dei detenuti del carcere di Livorno alla nostra Diocesi e alla nostra città.
Per aiutare lo svolgimento abbiamo posto ai detenuti alcune domande sui temi della libertà, della giustizia e della speranza, certi che queste stimolino anche una risposta da parte di chi sta leggendo.
La libertà …
Cominciamo parlando della libertà, un tema che in carcere sembra un tabù, e parlarne sembra quasi irrispettoso per chi è detenuto da molti anni; in realtà, la fede cristiana ci apre ad un concetto di libertà che può esser pienamente vissuto anche in un ordine restrittivo. Cosa pensi quando senti la parola libertà? Che cosa la mette in pericolo e a quale prezzo sei disposto ad ottenerla?
Quando penso alla libertà vedo panorami fantastici, con distese di terreni fioriti e il canto degli uccellini che mi portano molto conforto, tra montagne, laghi, mare, avvolto dai rumori della natura, senza nessun vincolo posto dall’uomo. Ma penso anche alla concretezza di piccoli gesti come una passeggiata sul mare, una pizza o un caffè insieme. Attraverso queste immagini,
scopriamo quanto Dio ci ha donato al momento della creazione: un luogo dove vivere in libertà, in cui Dio stesso provvede ai nostri bisogni (cf. Mt 6,26), con la responsabilità di proseguire quell’atto buono con cui tutto è iniziato (cf. Gen 1). Stare con la nostra famiglia e poter avere un lavoro sono tra le migliori espressioni della libertà, di cui ci si rende conto solo quando vengono a
mancare: non abbiamo saputo apprezzarle quando le avevamo e riacquistarle non ha prezzo; saremmo disposti a tutto, perciò invitiamo tutti coloro che le posseggono ad apprezzarle e tenerle care, soprattutto i giovani.

Noi detenuti siamo esperti di libertà, perché nella privazione ne abbiamo colto la preziosità: solo nella ricerca si coglie il valore del dono perduto! E non importa come inizia la vita o come si evolve, ma è importante come scegliamo di finirla! Una riflessione sul tema della libertà invita anche a guardarci dentro: non esiste una libertà assoluta, slegata da ogni vincolo della società; non c’è libertà nel fare il male, ma solo nel fare il bene verso il prossimo e verso se stessi, nel perdonare, nell’amare, nel ricercare la verità, nel conoscere, nell’aiutare gli altri.

La libertà è dentro di noi e non fuori da noi: essa è messa in pericolo dai pregiudizi, dalle ingiustizie, dall’uso sregolato della tecnologia, dall’odio verso gli altri, dalle paure. Ci sono catene interiori che rendono schiavi molto più delle sbarre in ferro. Ricordiamoci di quanto ci dice San Paolo, che anche lui ha vissuto il carcere: “Cristo ci ha liberati per la libertà!” (Gal 5,1).
La giustizia …
Il secondo tema proposto per la riflessione giubilare è il tema della giustizia.
Può esserci una giustizia che ama e perdona e non soltanto che punisce? Quale pena dovrebbe avere un colpevole? Come reagire in caso di ingiustizia?
Dobbiamo distinguere una giustizia divina, che ama e perdona, come nel caso di Caino (cf. Gen 4), degli abitanti di Sodoma (cf. Gen 18), dei Niniviti (cf. Gn 3,10), della donna adultera (cf. Gv 8,1- 11), del buon ladrone (cf. Lc 23,39-43) e una giustizia umana, a volte ingiusta, che vuole soltanto condannare, quando ci sono reati gravi. Succede anche di ricevere una condanna senza sapere il
perché e non sempre la pena è adeguata alla colpa, ma aggravata da pregiudizi. Ciò appare indubbiamente un’ingiustizia, di cui paga il conto la persona più indifesa, senza possibilità di reazione. È giusto che chi sbaglia paghi, senza tirarsi indietro, ma ci deve essere sempre una seconda possibilità, un percorso di recupero; la giustizia umana deve prendere esempio da quella
divina che non punisce, ma aiuta a prendere consapevolezza del male fatto e protegge il colpevole (vedi Caino in Gen 4,15 e le città di rifugio in Nm 35,9-15), offrendoli sempre possibilità di redenzione. La pena allora dovrebbe mirare al reinserimento nella società, non ad un semplice “rendere male per male”; dare il carcere a vita serve solo per una vendetta sociale, a placare la rabbia delle vittime e del popolo, illudendoli che sia la soluzione “giusta”. Ma Dio ci insegna ad amare il prossimo e a perdonare; non si può calpestare la dignità di un detenuto; egli deve avere possibilità di riscattarsi, di lavorare e non stare fuori dal mondo per sempre. Di conseguenza, la pena deve essere sempre temporanea e la giustizia dovrebbe dare nuove opportunità, sotto una
supervisione, senza che il reo sia abbandonato e rischi di ricadere nell’errore, una volta uscito dal carcere. La pena dunque deve trasformarsi in ravvedimento, perché la speranza di cambiamento non deve mai venir meno. “L’uomo non è il suo errore” diceva don Oreste Benzi e oltre le sbarre è
possibile un futuro diverso.
La speranza…
Concludiamo allora la nostra lettera proprio con quest’ultimo tema appena citato, la speranza cristiana, il tema che papa Francesco ha scelto per questo Giubileo, percependone una profonda mancanza nel nostro modo di vivere oggi. In cosa si fonda la mia speranza? Come posso portare speranza a chi l’ha perduta? Quali sono i momenti in cui mi è mancata di più la speranza?
La speranza si fonda sulla certezza che l’amore di Dio non abbandona mai e questa certezza permette di vivere curando gli altri, amandoli, e lavorare per contribuire a migliorare la società.
Ci sono molti segni positivi intorno a me, piccoli gesti, come stare vicino a chi è senza coraggio e fargli capire che c’è sempre una via d’uscita, perché bisogna sempre credere nella speranza. La speranza è fatta di realtà, concretezza non di illusioni e rappresenta l’ancora di salvataggio nelle tempeste più imponenti della vita. La speranza è alimentata dalla fede in Gesù, dalla preghiera,
dalla scienza (grazie alla ricerca sanitaria), dalla consapevolezza che il mondo è creato da Dio. Per noi poi è importante la presenza di una famiglia che attende, spera, ama, perché là si trova la motivazione per andare avanti; quando i figli crescono, costruiscono il loro futuro e a loro volta
fondano una nuova, bella famiglia. A volte ci sono momenti di debolezza, e pensi di non farcela, la speranza si riduce al minimo; è proprio in questi momenti che bisogna avere la forza di andare avanti e prendersi le proprie responsabilità, lavorando su se stessi per migliorare la situazione.
Non bisogna mai fermarsi, anzi è necessario avere il coraggio di voltare pagina, orientarsi in nuove circostanze e trovare un nuovo punto di partenza. Bisogna anche guardare a chi sta peggio di noi e soprattutto alle persone che si amano, che danno forza per andare avanti.
Con l’augurio che questa lettera sia divulgata il più possibile, affinché tutta la Chiesa, anche quella in carcere, possa essere ascoltata e possa contribuire a realizzare l’amore che viene da Dio e che
libera da ogni catena.

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