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Sanremo 2025, le pagelle della seconda serata: cantanti ammalati di “giàvistismo”. I top e i flop

di Libero Red Dolce
Sanremo 2025, le pagelle della seconda serata: cantanti ammalati di “giàvistismo”. I top e i flop

I nostri voti alle esibizioni di mercoledì del festival della canzone italiana

7 MINUTI DI LETTURA





Willie Peyote. È già stato detto Daniele Silvestri a proposito di questo brano? Daniele Silvestri. L’ho detto anche io. Funk con rappato, citazioni musicali (Articolo 31), pungolature a destra (“non si può più dire niente”) e a sinistra (“l’asterisco al plurale”) e una complessiva aria da maestrino non rendono del tutto godibile un brano dai suoni freschi e ballabili. Ho già detto Daniele Silvestri, mi pare: ecco, il problema di Willie Peyote è che non ha la sua simpatia. E finisce per ammalarsi anche lui di “giàvistismo”.

Voto 6, funkettone rappato intelligente e un po’ saccente


Rose Villain. La prima sera in vestito “total red” ha vendicato anni di inestetica televisione in rosso del Gabibbo. E per questo le siamo grati. L’anno scorso ha imparato come volare in classifica e quest’anno che fa? Cambia due accordi, mantiene la struttura di “Click Boom” e si prepara ad andare in alta ripetizione in ogni pub, serata universitaria, club e radio della penisola. Sa cosa vuole e se lo prende.

Voto 6 meno, il comune mal di originalità compensato da una buona esecuzione


Rkomi. La pronuncia del suo nome fa impazzire Malgioglio, che gigioneggia e lo bullizza inutilmente prima di presentarlo. Momento boomer per il co-conduttore. Dopo Giorgia è complicato dare giudizi sul suo cantato, siamo agli antipodi: belcanto vs autotune. La canzone rallenta, accelera, si stoppa e riparte. Fatica, sbuff sbuff. Il testo però è interessante, un patchwork esistenzialista con una lingua quotidiana.

Voto 6, esistenzialista in autotune


Giorgia. Una voce che illumina la stanza buia della canzone, il pubblico è dalla sue parte e tutto funziona come un meccanismo perfetto. Come ogni volta che questa fuoriclasse del canto sale sul palco. Poi, qui, a Sanremo è di casa. E quei “Giorgia, Giorgia” alla fine dell’esibizione lo ricordano a chi guarda da casa e ai suoi avversari. Immutabile, non per forza soltanto un complimento.

Voto 7, classe cristallina e ferma nel tempo


Achille Lauro. Il vestito da gangster stiloso e fiore nero all’occhiello conquista occhi e simpatia. La Rolls-Royce punk (!) del suo primo Sanremo è rimasta in garage per fare spazio a un taxi che sfila per una Roma malinconica, da dove Achille osserva e canta amori impossibili e dolenti. Rimane il cantato strascicato e indolente che fa sperare in qualche giravolta più energica in futuro.

Voto 6, un gangster imborghesito dietro al finestrino del taxi


Bresh. Viene da una collettivo che si chiama Drilliguria e approda alla ballatona strappa mutande e lacrime. Non è nemmeno male, solo che dopo le consuete polemiche pre-Festival sul rap ingiurioso e violento che non fa prigionieri, trovarsi con una specie di Ultimo un po’ meno musone lascia un po’ delusi. E ti vedo, Bresh, che sogni il tour negli stadi quando alzi il braccio in alto e indichi il pubblico sanremese a chiamare il ritornello. Bravo, ma indovinate un po’? Già visto.

Voto 5.5, Ultimo già lo abbiamo: Bresh trovati un’altra nicchia


Marcella Bella. Iscritta nella quota “glorie del passato sanremese che non tramontano mai”, irrompe nel presente con questa marcetta dell’orgoglio delle donne forti che poco aggiunge e poco toglie alle sonorità tricolori. Per restare nelle vecchie glorie: i Ricchi e Poveri l'anno scorso avevano portato più brio. Non resterà questa sua esibizione, però che forza a 72 anni. Davvero è pelle diamante.

Voto 5.5, averne metà di quell’energia dopo i 70…


Simone Cristicchi. Ha nella sua faretra due temi cari agli italiani: le mamme e l’invecchiamento della popolazione. Non esita a scagliarli e fa centro. E’ da cinici fare polemichetta a questo punto, vero? E allora facciamola: c’è uso abbondante di retorica, comodo planare su immagini usurate (invecchiando si diventa piccoli) e la voce fatica a seguire la melodia. Ma il brano c’è e non pochi si saranno commossi e avranno mandato un messaggio - vero o col pensiero - alle loro mamme. Il palco gli regala la standing ovation.

Voto 6.5, pezzo giusto, tema perfetto ma c’è del didascalismo


Francesca Michielin. Soffre del male di altri e altre interpreti di questa edizione: il suo pezzo a Sanremo pare di averlo sentito già due o tremila volte. A stare bassi. Prova a spezzare la monotonia con un look più confuso che fantasioso e alla fine scoppia a piangere. Quasi quasi le andiamo dietro.

Voto 4.5, lacrime e Sanremo: binomio poco entusiasmante


Fedez. Due cose su Federico Lucia: sa rappare (quando vuole) e ama giocare con le ambiguità. E a Sanremo 2025 fa entrambe le cose. La canzone parlerà di depressione, ok, ma ogni due strofe pare di vederlo spezzare la matita sul foglio di carta mentre scrive il testo pensando a Chiara Ferragni. E scatta il sorrisetto soddisfatto. Solo che il pezzo non va molto oltre questo, almeno non fin qui. E poi quegli occhi didascalici da congiuntivite.

Voto 5, vede nero, è furbo ma sgamato dalla congiuntivite


Serena Brancale. Andiamo dritti come la cassa che lo fa partire: pezzo rovinato da un ritornello che cerca il tormentone a tutti i costi e trova caos. Peccato, perché Brancale è un’interprete capace di mischiare, suoni, mondi, alto/basso ma il pezzo è un po’ un accrocchio di carnevale che passa e va, senza lasciare traccia.

Voto 4.5, claustrofobia da eccesso di suoni


The Kolors. Io questa cosa che Stash & Co. a febbraio, anno dopo anno, sono già in modalità estate, la invidio. E la temo. “Mi aspetti a Mykonos” - minacciano - con tutta una cassa dritta che mi porta al ritornello e al momento in cui, sudato, in coda per le ferie, mi partirà il piede a tamburellare sulla frizione. E sospirerò: “No, di nuovo loro???”.

Voto 6.5,  sono in sindrome di Stoccolma da tormentone


Lucio Corsi. Con quegli occhi da elfo vede per forza nel futuro, Lucio Corsi. Il pezzo in quota indie cresce, eccome, al secondo ascolto, portando avanti sonorità e temi da outsider che non sono nuovi su quel palco (qualcuno ha detto Francesco Tricarico “Vita tranquilla” e Franco Fanigliulo “A me mi piace vivere alla grande” ?). C’è qualità, si sente, e si vede anche nella dimestichezza nel leggero passare dal piano alla chitarra.

Voto 7.5, occhi migliori di Legolas.


Elodie. Scende la scala e dalla platea sibila un fischio di apprezzamento maschile. Avrà gradito? La coreografia è un ancheggiamento che ormai gestisce con movenze da diva: minimale in abito monocromo bordeaux. Siamo tutti appesi a un suo cenno delle mani che si aprono come ali eleganti sul microfono. E ci regala un pezzo Elo-tipico: niente picchi memorabili, ma la riconoscibilità è un pregio in musica.

Voto 6.9, un attimo prima di dimenticarsi.


Rocco Hunt. Era il 2014 e lo scugnizzo Rocco era arrivato a Sanremo con una storia di orgoglio meridionale, che parlava di caffè, bimbi, mamme coraggiose e sentimenti puri. Dieci anni dopo Rocco è meno scugnizzo, canta più di quanto rappa (e non è un bene) ed è a Sanremo con una storia di orgoglio meridionale, caffè, bimbi...ci siamo capiti? L’evoluzione serve, te lo ricordi Darwin Rocco?

Voto 4.5, il Meridione cambia e le canzoni no?


Settembre. C’è vita dopo la Tomba? Forse, ma lui non si impegna troppo per dimostrarlo: il pezzo è una ballata pop prevedibile e che prevedibilmente si apre su un ritornello aperto, ben cantato da una voce nasale che ha il pregio di essere diversa dalle altre. 

Voto 5,5.


Maria Tomba. L’apertura di spalle con mantello e messaggio da empowerment femminile lo ha giù fatto vedere Chiara Ferragni su questo palco. Occhio, non porta bene. Il pigiama in apertura sembra un messaggio chiaro a Carlo Conti; sbrigati, ho sonno. La voce c’è, il pezzo omaggia certo pop alla Moulin Rouge. Non male.

Voto 6.


Vale Lp e Lil Jolie. Duetto a due voci, tanto clap clap della ritmica, canto mano nella mano e sguardi d’intesa, e ritornello un po’ a inno che riepte “dimmi quando sei pronto per fare l’amore” con venature femministe. Tutto però sembra fermo agli anni ‘90 musicalmente.

Voto 5.


Alex Wyse. Aprire una serata di Sanremo è complicato da big, figuriamoci come esordiente: lui rompe emozione e angosce con un look non per tutti, maglietta smanicata celeste puffo e una voce graffiante che è un bel sentire...Testo moscetto, tradisce un po’ le promesse del titolo “Rockstar”

Voto 6 +


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