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Il caso in Maremma

Licenziata con un messaggio su WhatsApp: «E il datore di lavoro era in vacanza...»


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(foto di repertorio)

La Cgil di Grosseto: «Dietro ogni storia come questa c’è un mondo di sfruttamento silenzioso»

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GROSSETO. Licenziata con un messaggio su WhatsApp mentre il datore di lavoro era in vacanza. Una «modalità» che il tribunale di Grosseto «ha giudicato illegittima», disponendo il ritorno della lavoratrice nel suo posto di lavoro.

È quanto successo a una dipendente di un’impresa edile grossetana, assistita dalla Cgil Grosseto – che spiega e dettaglia il caso in una nota – e da uno dei suoi legali: l’avvocato Carlo De Martis.

La ricostruzione

La donna, viene spiegato dalla sigla, era stata assunta nel giugno 2023 senza che «le fosse stato fatto firmare alcun contratto». «Solo successivamente ha scoperto di essere stata inquadrata part-time per sole otto ore settimanali, quando in realtà ne lavorava circa quaranta, come poi accertato in giudizio».

Ad agosto, dopo una telefonata che il «datore di lavoro avrebbe considerato “mal filtrata” dalla dipendente», sarebbe arrivato il messaggio di licenziamento: «Poche righe su WhatsApp, senza alcuna possibilità di replica». Il giudice ha stabilito che si tratta di un licenziamento nullo, aggiungono dalla Cgil in nota, perché «non è stato rispettato neanche il diritto della lavoratrice a difendersi, come previsto dalla legge. L’azienda è stata così condannata».

I legali e la decisione

«Le norme sui procedimenti disciplinari e sui licenziamenti che sono state violate dal datore di lavoro – sottolinea l’avvocato De Martis – sono poste a tutela del contraente più debole, ovvero il lavoratore. La loro violazione comporta l’assoluta nullità del licenziamento». «Nel caso della nostra assistita – dice il legale – l’azienda è stata condannata a riammetterla in servizio, ma la lavoratrice ha optato per una indennità sostitutiva temendo che al rientro avrebbe potuto trovare un ambiente ostile. Un risarcimento di oltre quindici mensilità, che si aggiunge alla condanna dell’azienda al pagamento delle retribuzioni non corrisposte, sulla base dell’orario effettivo che si è rivelato di gran lunga superiore a quello decisamente minimale indicato dal datore di lavoro».

La Cgil

«Dietro ogni storia come questa c’è un mondo di sfruttamento silenzioso, fatto di ricatti, precarietà e mancanza di tutele – racconta Monica Pagni, segretaria generale Cgil Grosseto – Quanto successo è doppiamente grave. Sia per la sua modalità, sia per il fatto che è successo a una donna. E se non ci fosse stato il coraggio di denunciare e il supporto del sindacato, probabilmente questa storia sarebbe passata sotto silenzio. Perché va ricordato che la paura di perdere il lavoro spesso soffoca il coraggio necessario a chiedere aiuto».

«La decisione del giudice è sacrosanta – rimarca Pagni – Ora l’8 e il 9 giugno anche i cittadini avranno l’opportunità di dire la loro sul mondo del lavoro, un’opportunità rara e importante. Quella di essere loro i giudici che restituiscono dignità a chi lavora. Possiamo riassumere i quesiti referendari in una sola domanda che si rivolge a tutti – conclude – “Pensi che il mondo del lavoro vada bene così o che servano cambiamenti che restituiscono dignità a chi lavora?”. Votare Sì significa restituire dignità e tutele a lavoratrici e lavoratori. Dando una scossa al mondo della politica che deve tornare a interessarsi del lavoro seriamente. Votando Sì, la richiesta dei cittadini sarà forte e chiara. La politica sarà chiamata a rispondere concretamente».

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