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Che salami quelli di Facebook: «La finocchiona è un’offesa»

di Michele Gambino
Che salami quelli di Facebook: «La finocchiona è un’offesa»

Quando la censura è insensata: bannata un’inserzione del celebre insaccato toscano

02 febbraio 2023
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Da appassionato degustatore della finocchiona toscana voglio dare un consiglio non richiesto ai produttori della suddetta che si sono visti cancellare da Facebook la pubblicità del loro prodotto in quanto non rispettosa degli standard della comunità: fregatevene!

Perché siete in ottima compagnia: tempo fa gli zelanti censori del social più scemo del mondo hanno bannato un’immagine del grande fotografo Luigi Ghirri perché ritraeva un busto di donna marmoreo senza reggiseno, e anche il celebre quadro di Coubert, “L’origine del mondo”. Stessa sorte è toccata a una delle foto di guerra più conosciute al mondo, quella della piccola vietnamita Kim Phúk che fugge dal suo villaggio bombardato con il napalm.
Per Facebook, ovviamente, si trattava di pornografia infantile.

Lo sporco, me lo diceva sempre mia nonna, sta negli occhi di chi guarda. Lo sguardo di Facebook, un social che dovrebbe avere nella modernità e nell’intelligenza il proprio baricentro, pencola pericolosamente verso quello di uno studente islamico afghano della fazione integralista. E la cosa peggiore è che ad attivare la censura sono quasi sempre altri utenti che segnalano presunti “contenuti inappropriati”

.
D’altra parte tutti abbiamo avuto un vicino malevolo che chiamava la polizia perché ascoltavamo musica alle 10 di sera. Solo che la polizia si guardava bene dall’intervenire, a differenza della polizia morale di Facebook.
Attenzione, però, non si tratta di oscurantismo ma di scarsa cultura, unita a un’intelligenza robotica e unidimensionale, per cui la foto di guerra più celebre del mondo è considerata pedopornografia se una tra i bambini piangenti e in fuga è nuda. L’ambizione della piattaforma social di riportare la vita reale tutta intera dentro il suo enorme recinto inciampa ottusamente nella complessità della vita stessa, nelle sue infinite sfumature, e doppie o triple letture. Cosicché la sacrosanta esigenza di limitare contenuti davvero razzisti, pornografici e diseducativi finisce per causare grande confusione e pasticci a ripetizione.

Sono milioni gli utenti di Facebook che ogni giorno si vedono bannare contenuti del tutto innocenti come la nostra amata finocchiona, quasi sempre col corollario della interdizione dal social, a volte di un mese, a volte a vita, ad insindacabile giudizio del censore.
Ogni giorno in centinaia subiscono la mannaia. Alcuni s’arrabbiano, altri la prendono a ridere e fanno bene, perché l’ironia è un’arma corrosiva verso ogni sciocchezza.
Resta però il fatto che lassù, nell’astratto e misterioso tribunale di Facebook, giudici senza nome, senza cultura e in definitiva senza giudizio emettono sentenze inappellabili. E questo, comunque la pensiate, determina la sottrazione di un bisogno per chi ha fatto dei social un’estensione della propria vita, e dunque subisce la censura come una limitazione dell’identità e della capacità di espressione. Senza contare chi su Facebook lavora o vende qualcosa, e dunque subisce un danno anche di tipo materiale.

Al danno si unisce la beffa quando il censurato scopre che l’eventuale protesta sbatte su un muro di regole meccaniche comunicate per iscritto, e i pochi che riescono a parlare con un essere umano in carne ed ossa ricevono risposte brevi e formali, con rigidi riferimenti ai presunti criteri universali della piattaforma, stabilite senza appello non si sa da chi. Forse dal signore di Facebook in persona, sua signoria Mark Zuckeberg, che vigila dall’alto sulla nostra moralità e sul nostro turpiloquio.

Se fosse ancora vivo Dante forse creerebbe il decimo girone, quello dei bannati, e magari anche quello dei bannatori, per metterci dentro Zuckeberg e i suoi scagnozzi colpevoli dell’affronto contro la deliziosa finocchiona (che per altro il sommo poeta potrebbe aver conosciuto, se è vero che la specialità è nota fin dal Medioevo).
Ma prima ancora di Dante, viene in mente l’incipit fulminante e profetico del “Il processo” di Kafka: “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poiché un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato”.
Mettete bannato invece di arrestato ed è perfetta per questi tempi. l


 

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