Firenze, morta per l'intervento al cuore non necessario: clinica condannata
Ai familiari assegnato un risarcimento di oltre un milione di euro. Fatale l’infezione provocata dall’impianto di una valvola aortica non rimosso in tempo durante l’operazione
FIRENZE. Un intervento al cuore ritenuto non necessario a cui si aggiunse pure un’infezione contratta in sala operatoria. Una sommatoria di negligenze che per il Tribunale va tradotta in una condanna a risarcire i parenti della paziente con oltre un milione di euro. La storia risale tra il 2016 e il 2017 e si svolge nella clinica Maria Beatrice Hospital di Firenze.
È qui che la signora 67enne si reca per un problema cardiaco, ma che nel corso dell’operazione diventa la causa di un decesso provocato dall’infezione «debellabile dai medici della struttura convenuta mediante la rimozione di tutto il materiale protesico» era la tesi sostenuta dai familiari e accolta dal giudice.
La paziente era affetta da un’insufficienza aortica importante. Una condizione che portò i medici a suggerirle un intervento di reimpianto della valvola aortica, «in una protesi vascolare sostituente la radice aortica (e l’aorta ascendente) , associata al contestuale reimpianto degli osti coronarici». Questa era la premessa di una vicenda passata dalla clinica al Tribunale. Solo che le consulenze disposte in corso di causa hanno chiarito che quell’intervento non era indicato – secondo le linee guida – per i soggetti nelle condizioni della paziente. E non vi era indicazione di un intervento così invasivo «data la dilatazione aortica inferiore a 50 mm in assenza di familiarità per dissezione aortica e l’insufficienza valvolare aortica moderata, asintomatica e assenza di dilatazione e disfunzione ventricolare sinistra».
Nella sentenza viene sottolineato che il decesso è correlato al fatto che la paziente abbia contratto in sede di intervento l’infezione letale. E si aggiunge che «non era assolutamente presente né al momento del primo ingresso, né antecedentemente al successivo intervento, perché altrimenti gli accertamenti eseguiti l’avrebbero evidenziata o, comunque, il chirurgo ne avrebbe rilevato l’esistenza sia all’osservazione diretta che dallo studio degli accertamenti strumentali e/o ematochimici eseguiti; il successivo, e poi fatale, progressivo decadimento psico-fisico della lesa è in nesso diretto di causa con l’infezione contratta».
Nessun dubbio, quindi, che la scelta di sottoporre la paziente a un intervento non necessario rappresenti la premessa causa-effetto dall’epilogo fatale. «Non trova infatti riscontro quanto affermato da parte convenuta (clinica, ndr) nei suoi atti, in particolare con riferimento all’indicazione terapeutica dell’intervento – conclude il giudice -. Giova al riguardo prendere in considerazione il documento dell’accertamento tecnico di parte ricorrente in cui emerge chiaramente che la dilatazione aortica inferiore a 50 mm (48 mm) e che in nessun documento di causa emerge come la stessa fosse pari o superiore ai 50 mm come sostenuto dal consulente di parte convenuta». Intervento chirurgico non solo inutile, ma che aprì la strada all’infezione al momento di sostituire la valvola aortica condannando così a morte la paziente.
